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 A.S.S.O. è una organizzazione no profit operante da 35 anni. Si occupa di ricerca scientifica, individuazione, studio e valorizzazione di beni culturali e naturalistici sommersi, sotterranei ed emersi; della diffusione della cultura sul patrimonio naturale ed archeologico mediante ricerche e attività operative condotte con Università, Soprintendenze, Istituti di ricerca, Centri Culturali nazionali ed esteri attraverso progetti, convegni, scavi, rilevamenti, congressi, mostre, collaborazioni esterne, filmati, seminari, realizzazioni multimediali, pubblicazioni. Sviluppa, in proprio ed in partnership con soggetti nazionali ed esteri, progetti nazionali ed internazionali di ricerca scientifica e di crescita socioeconomica. A.S.S.O., direttamente o attraverso i suoi soci, è rappresentata e accreditata presso numerose realtà del mondo istituzionale, scientifico, tecnico ed archeologico. Opera anche come consulente di diversi Comuni italiani, Università, Soprintendenze, CNR e Parchi Archeologici per ricerche e prospezioni presso ambienti archeologici sotterranei o archeologiche subacquee, per riprese aeree ed elaborazioni topografiche di prossimità e oltre che per progetti di valorizzazione di ipogei, aree sommerse, zone archeologiche e beni culturali o naturalistici.

MODELLO RICOSTRUTTIVO DELLA SEZIONE PRODIERA DI UNA LIBURNA RAFFIGURATA NELLA SCENA LXXXII DELLA COLONNA TRAIANA

Ricostruzione 3D di Matteo Collina (www.cumsidus.com)


Il modello è visibile All’interno della Darsena Romana del Porto di Civitavecchia, esattamente dietro le mura dell’Antica Rocca.






Foto Marco Vitelli (A.S.S.O.)

Colonna Traiana – scena LXXXII

Introduzione

Nel 2017, nella ricorrenza della morte dell’Imperatore  Marco Ulpio Nerva Traiano, avvenuta nel 117  d.C., l’ Autorità di Sistema Portuale del Tirreno Centrale di Civitavecchia, nell’ambito delle manifestazioni commemorative organizzate per l’occasione, ha voluto finanziare questa ricostruzione navale come testimonianza tangibile e duratura dell’opera dell’imperatore che fondò la città di Civitavecchia (con il nome di Centumcellae), determinandone il destino plurisecolare di importante scalo marittimo nel Mediterraneo. Questo lavoro vuole celebrare anche la potenza marittima di Roma, che fin dal tempo delle guerre puniche (264 a.C.-146 a.C.) si era andata proponendo come forza egemone nel Mediterraneo. Successivamente, Pompeo Magno, debellando la piaga della pirateria avrebbe, fatto di questo mare uno spazio aperto ai sicuri commerci (67 a.C.). Lo scontro di Azio (31 a.C.), poi, che contrappose Ottaviano ad Antonio e Cleopatra, eliminò l’ultimo ostacolo alla costituzione di un Mare interno, totalmente sotto il controllo di Roma, quello che i romani chiamarono “Mare Nostrum”.

Roma sul mare

Nell’età imperiale la marina militare romana aveva ormai raggiunto l’apice dell’efficienza organizzativa. L’esperienza raggiunta per il controllo delle rotte marittime e nel corso delle guerre navali, infatti, avrebbe portato Augusto alla costituzione di una vera e propria marina da guerra professionale con la costituzione delle due basi delle Classes Praetoriae di Ravenna e Miseno, quindi, della Classis Alexandrina in Egitto e della rete di scali lungo il Reno, pattugliato dalla Classis Germanica.
I suoi successori istituiranno ulteriori basi per le flotte militari, posizionandole strategicamente lungo i fiumi e le coste: Claudio, la Classis Britannica di stanza nella Manica; Nerone, la Classis Pontica nel Mar Nero; Vespasiano, la Classis Flavia Pannonica lungo il Danubio e la Classis Flavia Moesica al confine con la Dacia; mentre a Traiano probabilmente si deve l’istituzione della Classis Syriaca sul fronte partico.

Le navi commerciali e le navi militari

I romani chiamavano le navi da carico, dalla forma tondeggiante, con il nome generico di naves onerariae. Fra le navi da carico vanno, poi, considerate quelle per trasporti speciali, come le naves lapidariae (per il trasporto di marmi), le naves frumentariae (che costituivano la flotta granaria di Roma), le vinariae (per il trasporto di vino in grandi otri detti dolia e in anfore), le bestiariae (adibite al trasporto di animali) e le naves caudicariae (dal caratteristico fondo piatto, adatte alla navigazione lungo i fiumi).
Le navi militari, chiamate genericamente naves longae, dotate di rostro a prua, erano definite in base al sistema di voga adottato o anche per le funzioni svolte. A differenza delle navi da carico per le quali abbiamo molteplici testimonianze archeologiche, la tipologia delle navi da guerra dell’impero romano ci viene tramandata principalmente dalle fonti antiche e da quelle iconografiche: la bireme, a due ordini di rematori, la liburna, un tipo di bireme leggera e maneggevole, dotata di rostro e costruita sul modello delle imbarcazioni dei pirati illirici; la trireme, con tre file di rematori e militari di marina, per un totale di 220/230 uomini imbarcati. Le grandi poliremi dell’età ellenistica, che avevano costituito il nerbo delle flotte da guerra fino alla tarda età repubblicana, vengono meno nell’età imperiale, fino a scomparire. Ciò accade per il cambiamento delle tattiche di ingaggio e per la mancanza di avversari interni degni di considerazione. Le funzioni stesse della marina militare cambiano, assumendo essa piuttosto compiti di pattugliamento e di sorveglianza dell’ordine interno del Mare Nostrum. Uno dei primi giganti del mare destinati a divenire obsoleti fu la deceris, grande imbarcazione poliremi, alla quale seguiranno, gradatamente più tardi, le quadriremi e le quinqueremi, navi pontate lunghe fino a 48 metri, capaci di imbarcare molti uomini e dotate di torri, armi da lancio e ponti mobili, unità che caratterizzarono l’epopea delle guerre puniche. Tra le grandi poliremi, due sole esere rimangono, utilizzate come ammiraglie delle flotte principali. Tra le imbarcazioni la cui denominazione è data dalle funzioni svolte, ricordiamo: l’actuaria, piccola unità per il trasporto delle truppe; l’hyppago, imbarcazione ausiliaria per il trasporto di cavalli; le navi speculatoriae, utilizzate per le operazioni di pattugliamento e di avvistamento; le scaphae, scialuppe di servizio o d’emergenza a remi. 

Le navi della Colonna Traiana

Come è noto, sulla Colonna Traiana, inaugurata nel 113 d.C., è rappresento, attraverso la narrazione realizzata in bassorilievo, il racconto delle guerre daciche di Traiano (101-106 d.C.). In alcune delle scene appaiono varie tipologie di navi da guerra e da trasporto della Classis Moesica e delle Classes Praetoriae che furono impiegate per gli spostamenti dell’esercito romano da una sponda all’altra dell’Adriatico e lungo il Danubio.  La Classis Moesica, utilizzata per principalmente per il pattugliamento lungo il Danubio e per raccogliere informazioni sui movimenti delle truppe nemiche, fornì l’appoggio logistico e le strutture necessarie alla costruzione di ponti di barche per il passaggio delle truppe e si occupò dell’approvvigionamento dei beni primari per il sostentamento dell’esercito. Il ruolo giocato dalla flotta romana è ben delineato nelle immagini della colonna, dove sono rappresentate tutte le operazioni affrontate dall’esercito e il ruolo svolto dall’imperatore nel corso delle campagne militari oltre il Danubio. Il fatto stesso che fra i dona militaria offerti dopo le guerre daciche ci siano proprio quattro Coronae Navales dimostra l’importanza dell’attività della marina imperiale romana in quella guerra. Molte sono le tipologie di imbarcazioni raffigurate nei rilievi, dalle barche minori, alle onerarie, alle navi da guerra. Fin dalle prime scene si notano imbarcazioni cariche di approvvigionamenti (onerariae) e natanti utilizzati per i due ponti di barche allestiti per l’attraversamento del Danubio da parte dell’esercito romano; più avanti nel fregio si nota l’imbarco di truppe, cavalli e vettovaglie su altre navi da carico e due navi da guerra (liburnae) al completo. Ancora altre liburnae sono rappresentate nella scena della partenza di Traiano da un porto dell’Adriatico e nei ripetuti sbarchi. La liburna era la nave utilizzata anticamente da un popolo della Dalmazia, i Liburni, appunto, dedito alla pirateria. Essa entrò a far parte delle flotte utilizzate dai romani quando Augusto impiegò queste unità, agili e veloci, nella battaglia di Azio (31 a. C.) contro le pesanti navi di tradizione ellenistica di Antonio e Cleopatra. Nell’età imperiale, poi, il termine Liburna, o Liburnica, fu genericamente usato dalle fonti per designare una nave da guerra. 

Il modello ricostruito della Liburna

La ricostruzione che qui si propone, rappresenta la parte prodiera di una delle liburne raffigurate nella scena LXXXII della Colonna, e si basa sulle conoscenze delle tecniche di costruzione navale in età romana, fino ad ora note. La nave era probabilmente lunga non più di trenta metri e larga circa otto; aveva due livelli di piani di remeggio con un solo uomo per remo. Si ipotizza la presenza di venti- venticinque rematori a livello, per le due murate, con un totale di ottanta/cento rematori. Era un’imbarcazione della flotta dislocata nel Danubio, probabilmente della “Classis Moesica”.

Essa costituisce, altresì, un unicum architettonico tra le navi raffigurate sulla Colonna, per la presenza di “tre dritti di prua”. Infatti, in nessuna delle prue delle altre navi da guerra, per quanto ci è dato di osservare, sembra possibile individuare una simile caratteristica.  Questo espediente è stato forse utilizzato per ampliare lo spazio a disposizione in questo settore dello scafo, pur mantenendone il profilo idrodinamico classico nella parte immersa. Tale scelta costruttiva potrebbe essere stata motivata dalla necessità di imbarcare particolari armamenti balistici, peraltro simili a quelli rappresentati nella Colonna in altre scene di attività militari, armamenti identificabili, nell’immagine della scena LXXX II, nelle lunghe aste o pali con una scanalatura longitudinale, sporgenti a prua. Questi elementi occupano lo spazio normalmente riservato al proembolion, una struttura della nave, prominente sopra il rostro e conformata spesso a protome animale, che aveva la funzione di limitare la penetrazione del rostro nella fiancata della nave nemica. Queste caratteristiche ci autorizzano a definire questa nave un particolare tipo di Liburna?  Poteva essere stata realizzata appositamente per il trasporto o l’utilizzo di macchine balistiche?




Particolari della prua della liburna della scena LXXXII

Infatti, se osserviamo il rilievo del pannello LXXXII, notiamo, partendo dal basso, al di sopra del rostro, un’asta, o palo, a sezione quadrangolare scanalata longitudinalmente e terminante con tre punte; segue un’asta o palo a sezione quadrangolare, scanalata longitudinalmente e terminante con una protome di ariete; si nota, quindi, la vela di artimone e un palo, questa volta non scanalato, a sezione quadrangolare, la cui estremità è nascosta dalla vela; segue, infine, l’albero di artimone. I propugnacula di prua (sorta di castello di combattimento) appaiono decorati da due lastre, probabilmente metalliche, recanti decorazioni in rilievo rappresentanti, tra l’altro, nella più bassa, due imbarcazioni in navigazione, una delle quali con prua simile alla nostra, e, nella più alta, rosette. Probabilmente tali lastre avevano anche una funzione di protezione dal lancio di proiettili nemici (dardi, pietre, ecc..). Nella ricostruzione non si è proceduto alla collocazione di questi pali sporgenti, identificabili probabilmente con parti di armamenti imbarcati nella sezione prodiera, perché non siamo in grado di comprenderne appieno la forma, la funzione e il modo di uscita rispetto alle assi di fasciame della prua (cubie? Finestre? Feritoie? ...).



Colonna Traiana. Rappresentazioni di macchine belliche sulle fortificazioni


Scena LXXXII. Particolare del castello di prua (propugnacula) con le lastre metalliche decorate.

Studio, Ricerca e Ricostruzione della Liburna romana a cura del CASN-LANS  diretto dal com.te Mario Palmieri , nell’ambito del Progetto Navalia – “Potenza e Tecnologia della Flotta di Roma “- con la consulenza scientifica di Barbara Davidde professore a contratto di Archeologia subacquea - Università degli Studi Roma Tre e di Roberto Petriaggi, già professore a contratto di Archeologia subacquea - Università degli Studi Roma Tre e direttore di “Archaeologia Maritima Mediterranea. An International Journal on Underwater Archaeology”      


Si ringraziano inoltre:


-         L’ Autorità di Sistema Portuale Centro Settentrionale di Civitavecchia per aver finanziato l’opera



La Soprintendenza Archeologica del Lazio per aver sostenuto l’iniziativa



Il Ministro Dario Franceschini e la sua segreteria particolare condotta dal dott. Pino Battaglia per aver permesso  la ricerca sui calchi della Colonna Traianea



La  A.S.S.O.,  Associazione riconosciuta come  partner tecnico della Soprintendenza per l’archeologia subacquea e ricerche in ambienti sotterranei per aver messo a disposizione  particolari apparecchiature e tecnici per lo studio dei calchi della Colonna Traianea



-  La Soprintendenza Archeologica di Stato, dott.ssa Cinzia Conti,  per approfondimenti  tecnico-storici sulla Colonna Traiana



La Soprintendenza Archeologica di Roma  per aver permesso l’apertura del Museo della Civiltà Romana dell’Eur

La Bilancella Onlus  di Civitavecchia per aver ospitato, offerto spazi e supporto per la ricostruzione della Liburna          

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