La tecnologia sta rivoluzionando le tecniche della ricerca archeologica, sulla terraferma come sui fondali marini. Da qualche anno gli archeosub hanno come compagni di lavoro software che trasformano le foto scattate sott’acqua in dettagliati modelli tridimensionali. E’ un’applicazione nuova di una tecnica nota, la fotogrammetria. Così lo ‘scavo’ in mare diventa più rapido, sicuro, economico.
Ma come cambia la qualità dei risultati? Quali accorgimenti deve osservare il ricercatore per ottenere il massimo dal rilievo? Risponde con uno studio pubblicato dal Journal of Cultural Heritage e ripreso da Science l’archeologo marittimo cafoscarino Carlo Beltrame. Con il suo team, Beltrame è tra i pochi al mondo all’avanguardia sull’utilizzo della fotogrammetria per l’archeologia subacquea, grazie anche alla collaborazione con il laboratorio di fotogrammetria dello IUAV.
Lo strumento principe diventa la reflex, con la quale scattare centinaia di immagini riprendendo il ritrovamento sottomarino da altrettanti punti di vista. La bindella metrica non va in pensione, ma viene srotolata solo per definire la ‘maglia’ topografica di riferimento.
“La fotogrammetria ci permette di risparmiare molti giorni di lavoro sott’acqua - spiega Beltrame, docente di Archeologia marittima e subacquea al Dipartimento di Studi Umanistici - e a poche ore dal rilievo possiamo vedere sullo schermo del computer il modello tridimensionale dettagliato del ritrovamento, con la possibilità di calcolare volumi con un margine d’errore irrilevante. E’ un’autentica rivoluzione”.
Il team ha sperimentato la fotogrammetria su diversi siti a diverse profondità e condizioni ambientali. Il nemici della fotografia, infatti, sono l’oscurità, dovuta alla profondità, la torbidità dell’acqua e la progressiva sparizione dei colori, dovuta sempre alla profondità; ma altri aspetti critici sono ..... CONTINUA A LEGGERE SU CAFOSCARINEWS
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