“Trovare una tecnologia che possa mostrare le meraviglie sommerse nei luoghi più bui e meno accessibili anche agli speleosubacquei, senza togliere loro il gusto di continuare a bagnarsi la muta”. Il tecnico biologo marino e speleosub Marco D’Onghia, racconta nel dettaglio, a Scintilena, il primo esperimento italiano sull’uso della tecnologia R.O.V nell’esplorazione di grotte sommerse.
Com’è venuta l’idea della sperimentazione?
L’ idea della sperimentazione ha preso forma quando la mia esperienza di tecnico e pilota ROV si è sommata all’incontro con grandi maestri italiani di speleosubacquea. Il direttore della scuola Nazionale di speleosubacquea, Leo Fancello, durante le sue lezioni usa spesso l’espressione “cartografi del buio” per definire noi speleologi e speleosubacquei, proprio per rimarcare il fatto che la nostra attività non deve essere mai fine a sé stessa ma deve avere come scopo quella di documentare, di lasciare una traccia che possa essere studiata, seguita e arricchita dai posteri. Ricordo anche però le parole del mio amico grande maestro speleosubacqueo Raffaele Onorato che diceva che “tra noi e un sub l’unica cosa in comune e che respiriamo entrambi dall’erogatore”, proprio perché ancor più che i sub di acque libere, gli speleosub raggiungono i luoghi più remoti della Terra, luoghi che solo loro potranno, con particolari tecniche e abilità, esplorare e documentare, dunque quello di arricchire il “database” della ricerca speleologica subacquea, diventa quasi un imperativo morale.
Così con il tempo ho iniziato a pensar a come sarebbe stato possibile integrare il lavoro di uno speleosub con un mezzo tecnologicamente avanzato ..... CONTINUA A LEGGERE SU SCINTILENA.COM
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