ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA (Mario Mazzoli, A.S.S.O.)
Mari, laghi e fiumi custodiscono numerose tracce della vita dell’uomo. Relitti navali, installazioni portuali, villaggi palafitticoli, peschiere, attrezzature legate alla navigazione, infrastrutture abitative o di produzione sommerse dalla variazione del livello del mare o dalla modifica delle linee di costa; tutte situazioni da indagare e studiare da parte di equipe specializzate.
Come è ovvio, uno dei veicoli principali della ricerca in ambito archeologico sommerso è costituito dai subacquei che, a diverso livello di professionalità e competenze, vengono chiamati ad affiancare gli archeologi su questi giacimenti. Subacquei ce ne sono sempre stati e ci sono dei riferimenti famosi come quello di Scillia di Scione. Pausania e Plinio riferirono che Scillia e sua figlia Hydna contribuirono alla distruzione di molte navi persiane tagliando le cime che le trattenevano alle ancore lasciandole così in balia della tempesta.
Erodoto, invece, cita di una collaborazione con i Persiani per il recupero di materiali e preziosi dalle navi affondate durante il naufragio della flotta di Serse e del successivo passaggio di Scillia con i Greci per riferire loro informazioni importanti sulla consistenza della flotta nemica. E’ comunque noto che nell’antichità la pesca delle spugne o dei murici e il recupero di carichi perduti in acqua venivano sistematicamente condotti da persone abili ad andare sott’acqua che, con il passare del tempo, si aggregarono in diverse categorie alcune delle quali furono istituzionalizzate con la costituzione di vere e proprie Corporazioni. Costoro, che i romani chiamavano urinatores, costituiscono i progenitori di quanti, come noi, si interessano a ciò che l’uomo ha lasciato in acqua. Studiare un giacimento archeologico sommerso dipende essenzialmente da come questo è connaturato e quindi dalla tipologia, dalla profondità alla quale si trova, da come è costituito il fondale, dai danneggiamenti umani o naturali che ha subito, da come si è sedimentato il deposito che lo ha coperto e dall’ambiente (salmastro, dolce, fiume, laguna, lago, mare, grotta, effetto del moto ondoso, successiva antropizzazione, ecc.) nel quale si trova.
Tra i vari aspetti operativi, contano anche l’intensità della corrente, la visibilità, quanto il giacimento sia distante dalla costa o da altre zone emerse, quanto sia logisticamente abbordabile e via seguendo. La realtà è quindi un po’ meno romantica di ciò che ci aleggia intorno; si tratta di un notevole lavoro multi specialistico di pianificazione e di sistemica esecuzione nel quale serve far funzionare veri e propri cantieri con qualche complicazione in più rispetto a quelli di terra. Talvolta il rinvenimento avviene attraverso prospezioni visive effettuate sia da persone sia da telecamere o veicoli filoguidati. In altri casi è necessario utilizzare sonar e magnetometri i cui risultati, pur se oggi maggiormente fruibili che in passato grazie alla digitalizzazione, per casi non manifesti sono complessi da interpretare e necessitano di competenze professionali specifiche. Una volta individuato, il giacimento viene liberato dai sedimenti o dalle concrezioni che lo hanno ricoperto per essere rilevato in tutti i suoi aspetti dimensionali, costruttivi, ambientali e archeologici.
Concluse queste operazioni, il sito dovrebbe sempre essere oggetto di ricopertura e/o di prelievo di parte o dell’intero contenuto o della struttura per restauro o studi successivi. Finito il lavoro sul campo si è solo ad un terzo dell’opera passando all’analisi dei dati, degli schizzi, di foto e filmati, alla realizzazione dei disegni, all’analisi da parte degli specialisti di specifici reperti o situazioni, alla formulazione delle conclusioni, all’archiviazione e gestione dei dati del giacimento e, come si spera, alla pubblicazione dei risultati. Per limitarci allo scavo, in questa sede è sufficiente evidenziare che può essere condotto secondo diverse tecniche e metodologie che sempre devono rendere chiara la stratigrafia così come avviene per le operazioni condotte a terra. E’ quindi molto importante poter contare su una base logistica affidabile e quando questa deve essere replicata anche in mare, il costo diventa rilevante e non sempre la scelta è facile (barche, pescherecci, pontoni, rimorchiatori, zattere, ecc.). Per asportare i detriti viene utilizzata la “sorbona”: un grosso aspiratore manovrato dal subacqueo e attivato da aria o acqua a pressione, le cui progettazione, realizzazione e utilizzo richiedono un approccio personalizzato ad ogni situazione. Una volta ripulita, o molto più spesso nel corso della ripulitura, l’area va rilevata, misurata, topografata in tutte le sue componenti, con l’ausilio di supporti tecnici fissi o mobili di diverso tipo e tecnologia.
Generalmente la zona di lavoro viene divisa in figure geometriche equivalenti o uguali attraverso un reticolo graduato di diverse scale che funge da riferimento per tutte le misurazioni manuali e strumentali. Le misurazioni vengono integrate da fotografie e si realizza almeno un fotomosaico prima della restituzione, manuale o strumentale, del rilevamento di base. Un tempo era necessario costruire delle infrastrutture di precisione sulle quali far scorrere le macchine fotografiche e le telecamere mentre oggi, grazie alla velocissima affermazione delle apparecchiature e dei software digitali, basta posizionare alcuni capisaldi gestendo l’acquisizione e l’elaborazione dei dati con risultati analoghi a quelli che si ottengono in superficie. Va poi analizzato il materiale rinvenuto, dedicando a questo degli specialisti sia per lo studio che per la conservazione temporanea in attesa del restauro. Particolare attenzione e organizzazione preventiva ad hoc meritano i legni e i manufatti organici per la loro altissima deteriorabilità. Ceramiche, piombo, oro, marmi ed altri materiali più resistenti possono essere gestiti e studiati, invece, con maggiore serenità ma simile prudenza. Un mondo estremamente vario ed affascinante nel quale, con i prossimi articoli, cercheremo di “immergerci”.
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