ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA: RELITTI NAVALI E ORGANIZZAZIONE DI UNA RICERCA (Mario Mazzoli -ASSO)
Quando di pensa all’archeologia subacquea la prima immagine che si presenta i nostri occhi è quella di una antica nave affondata anche se sappiamo, come abbiamo visto e vedremo, che non si tratta dell’unico ambiente nel quale si opera. I relitti di navi sono i testimoni degli scambi commerciali e molto più raramente delle vicende belliche in mare e quindi rappresentano un contesto privilegiato per l’archeologia subacquea. Nel Mediterraneo è presente una grande quantità di relitti antichi, rappresentativa della prevalente convenienza dei traffici via mare rispetto a quelli via terra. Si pensi che per trasportare via terra le 150 tonnellate, equivalenti a circa 3000 anfore, di carico di una nave media servivano circa 370 carri ed è quindi evidente come convenisse trasportarle via mare. Numerose imbarcazioni, grande traffico, strumenti di navigazione rudimentali, forte dipendenza dalle condizioni meteo marine; risultato: tanti relitti.
Una disgrazia per gli antichi ma una manna per i posteri che hanno ereditato questi nuclei di storia così come sarebbero apparsi, legno a parte, il giorno dopo il naufragio. I relitti navali vanno studiati tenendo conto di: struttura, giacitura, posizione, decomposizione, sedimentazione e/o il concrezionamento sul fondale, tipo e origine dei carichi che possono fornire indicazioni preziose anche sulla rotta della nave in base alla tipologia, alle iscrizioni, ai bolli, ai sigilli, ai tituli picti apposti sui manufatti. I resti della nave, invece, consentono di studiare il tipo, l’età e la provenienza dei legni della struttura, la tecnica costruttiva dell’imbarcazione, gli accessori nautici ed i particolari di funzionamento. A parte le navi ricercate e individuate grazie a tecniche di prospezione prevalentemente strumentali il rinvenimento casuale dipende dal tipo di costa e di fondale, dalle dinamiche del naufragio, dagli effetti del moto ondoso e dalla frequenza dei subacquei e della pesca a strascico. Ogni relitto è comunque un caso a sé stante.
Il tipo di naufragio nel quale è incorso - speronamento, incagliamento, cannoneggiamento, collisione, rovesciamento, cedimento strutturale, spiaggiamento, incendio, ecc.- il livello di decomposizione della struttura, la consistenza, la tipologia del carico e le esigenze logistiche richiedono, di volta in volta, un approccio personalizzato. Talvolta succede che nella stessa area siano naufragate più navi o che queste siano affondate su “butti” o in siti precedentemente antropizzati o vicini alla costa. In questi casi si può generare un vero rompicapo per gli archeologi che devono districarsi tra presenze archeologiche talvolta distanti centinaia di anni. Accade anche che la fase di studio coincida con lo scavo: quando si elimina l’acqua. In due maniere: prosciugando l’area o asportando il giacimento.
Esempi di prosciugamento parziale sono quelli che talvolta si eseguono nei laghi per studiare parti di villaggi palafitticoli; quello operato per il recupero delle due grandi navi del lago di Nemi emerse dopo che il livello del lago fu abbassato per più di 20 metri; il caso delle navi vichinghe di Skuldelev rinvenute nel Fiordo di Roskilde; lo scavo e lo studio del sito, di una galea veneziana e di una imbarcazione da trasporto lagunare medievali realizzato svuotando dall’acqua un’area della Laguna di Venezia.
Sull’asportazione dell’intero giacimento, invece, potremo citare l’esempio del Mary Rose inglese affondato nel Luglio del 1545, durante l’attacco dei Francesi alla base inglese di Portsmouth e quello della nave svedese Vasa, magnifico vascello da guerra affondato nel 1628 nel porto di Stoccolma il giorno del suo viaggio inaugurale. Il Vasa fu rinvenuto nel 1956 a circa 32 metri di profondità, dopo una serie di verifiche e ricerche iniziali fu oggetto di una formidabile operazione di recupero, studio, restauro e musealizzazione. Contando sull’ottimo stato di conservazione del vascello, dovuto alle basse temperatura e al ridotto grado di salinità del Baltico, e su un corale sforzo tecnico ed economico, lo scafo fu sollevato e in diverse fasi portato a profondità sempre inferiori affinché i palombari potessero, in condizioni di sicurezza, chiudere i portelli, tappare le falle e “inscatolarlo” in un bacino di carenaggio.
Fu così possibile studiarlo all’asciutto, sottoporlo ad un trattamento conservativo per circa 20 anni e farne bella mostra in un bellissimo museo a Stoccolma. Comunque, qualsiasi sia lo specifico campo di intervento, l’archeologia subacquea necessita di una complessa organizzazione e di un approccio interdisciplinare. Più è profondo il giacimento, più è richiesto un intervento di tipo tecnologico, tante più persone e professionalità occorrono, maggiore è la logistica e il tempo necessario; più bisogna preoccuparsi della sicurezza, più il lavoro è oneroso. A parte operazioni condotte con altissima tecnologia ed enorme dispendio di costi, è quindi bene cercare di organizzare dei metodi di indagine rapidi e flessibili.
Questi vanno finalizzati al vero scopo di questi lavori che, come sappiamo, non è quasi mai il recupero dell’oggetto che, quando avviene, dovrebbe essere funzionale solo alla necessità di studio o di tutela del reperto o del giacimento. E’ inutile sterrare un grande spazio se poi non si hanno le possibilità economiche per ricoprirlo; è stupido recuperare parti lignee se queste non possono essere conservate adeguatamente e così via. Bisogna quindi sincerarsi, prima di agire, se siano chiari e ragionevoli gli obiettivi di minima e predisporre un project planning accurato perché anche gli aspetti logistici e finanziari vengano ben stimati e risolti.
La nostra esperienza ci porta a ritenere addirittura prevalente una efficiente organizzazione preventiva ed esecutiva alla necessità di cospicui finanziamenti quali richiederebbe l’archeologia subacquea. Esistono oggi molte possibilità per ridurre i costi senza pregiudicare la qualità del lavoro. Il volontariato qualificato, le cooperazioni internazionali, i rapporti con le Università e le sponsorship sono alcune di queste.
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