ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA: ALTE PROFONDITA’ E IL POTENZIALE DELLE GROTTE IN MARE (Mario Mazzoli - ASSO)
Diverse sono le nuove frontiere dell’archeologia subacquea e tra le principali si contano le alte profondità. Per lavorare oltre i 50/60 metri di profondità, l’impiego di aria per la respirazione è pericoloso e quindi si utilizzano diverse miscele respiratorie che richiedono una complessa gestione se destinate ad un numero di sub elevato o se questi non siano già inseriti in un contesto di operatività subacquea piuttosto elevato. Quando effettuiamo immersioni profonde anche noi utilizziamo miscele variabili di azoto, elio e ossigeno predisponendo cavi e trapezi per la risalita, cambio miscela e decompressione impiegando anche respiratori a circuito chiuso, che hanno agevolato e reso più sicure le immersioni in profondità ma che comportano risvolti tecnologici, economici e organizzativi non trascurabili.
Ci spingiamo quindi ad alte profondità, 120/130 metri, solo per vedere, fotografare ed effettuare mini rilievi digitali e, al nostro livello di organizzazione, sarebbe impossibile organizzare un vero e proprio cantiere sotto i 50 metri. Per profondità maggiori è infatti necessario impiegare navi di grosso tonnellaggio con adeguate attrezzature tecniche e scientifiche, poter contare su sommozzatori altofondalisti e, per andare più giù di quanto possa fare l’uomo, dotarsi di batiscafi o sommergibili. Ciò non toglie che i relitti presenti al di sotto delle quote cosiddette sportive siano tra i più interessanti e promettenti sotto il punto di vista scientifico e storico archeologico. In genere è proprio l’elevata profondità ad averli protetti dalle manomissioni e dai marosi e quindi il contesto nel quale vengono rivenuti è più o meno quello dell’affondamento: un vero e proprio bozzolo di storia.
Tra l’altro, con l’aumentare della profondità in mare, e nel caso di acque dolci, i materiali vegetali si conservano meglio rispetto a profondità marine più contenute dove, ad esempio, prolifera la teredine (teredo navalis … appunto) un mollusco che distrugge il legno se questo non si trovi sepolto da sabbia o limo. I principali danneggiamenti che questi relitti hanno patito sono quindi principalmente, se non quasi esclusivamente, riferiti alla pesca a strascico che non può essere praticata entro le 3 miglia marine o al di sopra della batimetrica dei 50 metri. Con questa pratica si distrugge e si asporta qualunque cosa si incontri sul fondale e quindi anche i giacimenti archeologici che vengono “rasati” prelevando o frammentando i reperti che emergono dal fondale. Una seconda frontiera è quella delle cavità naturali che, un tempo emerse, per la variazione dei livelli del mare o di altri bacini acquiferi oggi si trovano sott’acqua custodendo segreti di carattere geologico o naturalistico e archeologico. Oltre a quelle sommerse dalle variazioni di livello delle falde acquifere sotterranee, dei laghi e dalla variazione del percorso di fiumi, ci sono quelle invase dal mare che, innalzatosi di circa 100 metri negli ultimi 20.000 anni, ha coperto anche aree frequentate dall’uomo in epoche lontane.
In questi casi, ricerca, esplorazione, rilevamento e eventuale scavo richiedono la partecipazione di speleosubacquei sia perché sono gli unici a frequentare l’interno delle grotte sommerse sia perché posseggono le competenze per ridurre l’elevato rischio di incidenti. Nelle grotte, infatti, la sicurezza dipende quasi esclusivamente dalla preparazione specialistica dei sub, dal livello tecnico e adeguatezza quantitativa delle attrezzature e dalle procedure di progressione utilizzate. E’ quindi indispensabile, per operazioni in ambienti sommersi confinati, l’impiego esclusivo di speleosub con documentata esperienza; deroghe possono essere giustificabili solo per attività condotte in caverne dove sia molto evidente e luminosa l’uscita anche in caso di intorbidamento delle acque. Nelle cavità naturali si possono rinvenire prevalentemente giacimenti preistorici e altre tracce di frequentazione dell’uomo.
Sono stati scoperti addirittura dei santuari risalenti a 27.000 anni fa, come nel caso della Grotta Cosquer sulla costa di Marsiglia. Le cavità artificiali sommerse, invece, come cunicoli, pozzi, cisterne, miniere, acquedotti, emissari sotterranei dei laghi interessano prevalentemente per lo studio sulla funzionalità e delle tecniche costruttive anche se non è raro rivenirvi reperti mobili. Anche in questi contesti è sempre necessario il supporto degli speleosubacquei e va sempre posta una particolare attenzione aggiuntiva alla qualità delle acque intesa in termini di visibilità che di carico inquinante.
A conclusione della nostra carrellata sull’archeologia subacquea ci piace concludere con una considerazione generale legata al fatto che, al pari di altri campi della ricerca archeologica, quella subacquea necessita di un concreto e sincero approccio multidisciplinare nel quale si intersecano diverse specializzazioni tecniche e scientifiche che riguardano non solo materie di matrice indipendente ma anche professionalità diverse nell’ambito della stessa materia. Se si pensasse all’archeologia, ad esempio, è molto difficile trovare persone che assommino competenze specialistiche nello studio delle ceramiche appartenenti ad una certa epoca che siano anche esperte di architettura navale antica. E’ proprio per questo che auspichiamo un sempre più aperto e multisettoriale approccio verso la nostra storia: anche sott’acqua.
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