venerdì 30 aprile 2021

Mondi sommersi e sotterranei (7): La Nave Ospedale Italiana PO

LA NAVE OSPEDALE ITALIANA PO (Mario Mazzoli. A.S.S.O.)


Il Po, al maschile come vengono denominati i piroscafi, fu varato nel 1911 a Trieste come Wien. Centotrenta metri di lunghezza e sedici di larghezza, circa settemilatrecento tonnellate di stazza. Nel 1916 fu requisito dalla Marina Asburgica e trasformato in nave ospedale. Danneggiato ritornò alla compagnia di navigazione per poi essere nuovamente sequestrato e trasformato in nave caserma per il personale impiegato nella base sommergibili di stanza a Pola dove, nel 1918, fu rocambolescamente danneggiato dagli incursori Italiani, nella stessa giornata del 1 novembre nella quale fu affondata la corazzata Viribus Unitis, della Marina austro-ungarica. Requisito come preda di guerra dalla Marina Italiana fu riallestito come piroscafo e reimmatricolato nel 1921 come Vienna. Nel 1935 acquisì il nome di Po per poi, nel 1941, essere nuovamente requisito e ancora una volta trasformato in nave ospedale. 

Dopo quattordici missioni e il trasporto di circa seimila feriti, finì i suoi giorni nella baia di Valona la notte 14 marzo del 1941 quando un siluro inglese lo colpì sulla fiancata di dritta affondandolo in pochi minuti; causando la morte di 22 persone tra marinai e crocerossine. L’attacco ad una nave ospedale suscitò molto clamore. In prima fase, oltre ad informazioni di regime come il falso abbattimento degli aerosiluranti nemici, girò la voce che il siluramento fosse avvenuto perché gli aeroplani non avrebbero riconosciuto la nave ospedale a causa dell’assenza di illuminazione notturna prevista per una nave ospedale alla fonda. Si fece strada anche una versione più romanzata che si riferiva ad una ipotetica notizia diffusa sui servizi segreti inglesi che avrebbero rilevato, durante delle intercettazioni, il nome di Mussolini come presente sulla nave. In realtà a bordo un Mussolini c’era ma si trattava di Edda Ciano Mussolini, figlia del duce e moglie del Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, allora trentenne e crocerossina che scampò all’affondamento. 

Quando, successivamente, la verità fu appurata, venne confermata invece l’ipotesi dell’oscuramento e la Marina Italiana riferì che la nave fu resa tale per non rendere evidenti con altre luci, oltre al chiarore della luna, ulteriori navi italiane alla fonda nella stessa baia come i piroscafi Stampalia e Luciano, oltre alla torpediniera Andromenda. Non si ha quindi certezza di un attacco deliberato da parte degli inglesi a una nave ospedale, come era accaduto in altre occasioni, e resta dubbio il ruolo dell’oscuramento: causa o scusante? Dopo ottanta anni, il relitto si presenta ancora in assetto di navigazione. a circa un miglio dalla costa su un fondale fangoso tra i 35 e 37 metri di profondità, parzialmente avvolto dalle reti e con i ponti superiori in legno divelti anche dalle bombe dei pescatori di frodo. Una prima immersione fu effettuata dal team A.S.S.O. e dal Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Foggia nell’estate del 2008, sottraendo una mattinata alle ricerche archeologiche subacquee nelle quali erano impegnati. 

L’anno successivo venne condotta una esplorazione, gestita da A.S.S.O., in collaborazione con il Servizio Navale della Guardia di Finanza di stanza in Albania e l’Associazione Subacquea Blu Sub di Tirana. Attraverso l’utilizzo di tecniche speleosubacquee e impiegando respiratori subacquei a circuito chiuso, detti rebreather, per evitare che in alcuni punti particolarmente insidiosi le bolle degli erogatori classici liberassero il fango dalle volte delle aree chiuse facendolo precipitare pregiudicando ulteriormente la visibilità, l’équipe è potuta penetrare nelle aree più interne del relitto. Con non poche difficoltà si riuscì ad accedere fino ai ponti inferiori, alla sala macchine e ad ispezionare anche la sala operatoria, l’officina e diversi altri ambienti di interesse storico e documentaristico. Il lavoro, che ha richiesto complessivamente 144 immersioni per un totale di 8.352 minuti e si è rivelato entusiasmante e produttivo, nonostante la pessima visibilità dovuta al trasporto di grandi quantità di fango, e non solo, proveniente dei fiumi a nord della baia gonfi per le incessanti piogge del periodo. L’esplorazione è stata anche video registrata per analizzare successivamente i dettagli e ulteriori dati legati all’armamento della nave oltre che per fornire materiale necessario a comprendere lo stato di conservazione e di degrado dei vari ambienti. 

Le riprese esterne sono state effettuate da una troupe RAI che ha seguito l’intera missione mentre le riprese subacquee sono state gestite dagli stessi componenti del team A.S.S.O. Un bellissimo servizio fotografico è stato realizzato da Gennaro Ciavarella, affermato fotografo subacqueo, mentre un servizio televisivo è stato poi montato e inserito in uno speciale "TG2 Dossier", a cura del giornalista e storico Ulderico Piernoli, dedicato alla storia delle navi ospedale e andato in onda su RAI 2. Il materiale filmato è stato anche utilizzato nel documentario A.S.S.O. “Albania: la storia sommersa” di Massimo D’Alessandro. 





venerdì 23 aprile 2021

Mondi sommersi e sotterranei (6): Immergersi nei ... relitti

IMMERGERSI NEI RELITTI (Mario Mazzoli, A.S.S.O.)


Spesso nelle immersioni ricreative, quindi effettuate per divertimento e non a scopi scientifici o professionali, si confondono quelle svolte nei pressi dei relitti con quelle all’interno di questi. Immersioni in prossimità di relitti navali poco hanno di diverso da quelle effettuate in acque libere in ambienti naturali dove è sempre possibile riemergere sulla verticale. Quelle all’interno delle navi affondate, invece, per il fatto che in termini squisitamente tecnici e di rischio presentano molte similitudini tra l’addentrarsi in una grotta sommersa e nell’infilarsi nella stiva di una nave affondata, utilizzano tecniche proprie della speleologia subacquea. 

Anche all’interno di una nave, infatti, non è possibile risalire sulla verticale, si è quasi sempre costretti ad uscire da dove si sia entrati, servono preparazione e attrezzature specialistiche, sono presenti rischi connessi alla visibilità, ai crolli, alle zone anguste, alla densità di ostacoli, agli ingarbugliamenti derivanti dai materiali presenti e ad altre caratteristiche dell’immersione proprio a conferma che i subacquei più idonei all’esplorazione di navi affondate sono proprio gli speleosubacquei. Millenni di navigazione hanno costellato i mari di relitti navali. Mentre di quelli antichi se ne occupano gli archeologi subacquei, quelli storici e quelli moderni che si trovano a profondità accessibili fanno parte del bagaglio tecnico ed emotivo dei subacquei e dei cosiddetti subacquei tecnici. E’ ovvio come, anche in questi casi, l’immersione serva ad integrare le altre prospettive con le quali vanno condotte vere ricerche. 

Alla visione e rilevamento diretto della nave e del suo contenuto si aggiungono: la consultazione di archivi storici fisici o digitali, di biblioteche, giornali e raccolte fotografiche; le prospezioni strumentali; i contatti per le cosiddette informazioni di banchina; la logistica sopra e sotto l’acqua e tutto quanto altro fa parte di un lavoro integrato. Per limitarci in questa sede ad aspetti emotivi e di sicurezza, va considerato che un relitto esercita un forte richiamo, una vera attrazione magnetica. Mentre le grotte interessano quasi esclusivamente agli speleosub, i relitti affascinano i subacquei in genere, anche gli inesperti, ed è quindi raccomandato che l’emozione, la curiosità, la voglia di effettuare foto o riprese non prevalgano sulla sicurezza. 

Questo è stato anche il caso dell’esplorazione del relitto della nave italiana Po, silurata nel 1943 nella baia di Valona, condotta e gestita da A.S.S.O., in collaborazione con il Servizio Navale della Guardia di Finanza di stanza in Albania, l’associazione subacquea Blu Sub di Tirana e il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Foggia. 

Ne parleremo in dettaglio sul prossimo numero




venerdì 16 aprile 2021

Mondi sommersi e sotterranei (5): Progetto Albanus: dentro l'antico emissario

 

PROGETTO ALBANUS: DENTRO L’ANTICO EMISSARIO (Mario Mazzoli, A.S.S.O.)

Anni fa i gruppi speleologici A.S.S.O., Egeria e Roma Sotterranea, riunti sotto il marchio Hypogea - Federazione per le Cavità Artificiali del Lazio - e con le debite autorizzazioni della Soprintendenza, decisero di affrontare in modo sistematico e con tecniche avanzate l’esplorazione dell’antico emissario sotterraneo e sommerso del lago Albano, per valutarne il possibile ripristino funzionale, produrre documentazione topografica, analizzare le tecniche di scavo e realizzazione, effettuare analisi batteriologiche e geochimiche. La tradizione colloca l'emissario del lacus Albanus (lago Albano o di Castel Gandolfo) tra le più antiche testimonianze romane in fatto di ingegneria cunicolare, secondo solo alla Cloaca Maxima, e non mancano ipotesi per le quali potrebbe essere stato scavato addirittura in precedenza. In ogni caso si tratta di una struttura di straordinario valore storico, archeologico e geologico, sino a oggi scarsamente indagata per le enormi difficoltà di ricognizione. Tito Livio collega l’opera alla guerra irrisolta fra Roma e Veio raccontando che i Romani, già in difficoltà per un assedio che si protraeva da tempo sotto le mura della città etrusca, nell'anno 398 a.C. dovettero fare i conti con un inverno insolitamente rigido al quale seguì un repentino cambio di temperatura e un'estate caldissima, funestata da una pestilenza che colpì tutti gli animali. 

Tra le anomalie di quell'anno il lacus Albanus subì un innalzamento improvviso e tumultuoso delle acque: evento inspiegabile e misterioso considerata la carenza di piogge. Quindi, furono inviati ambasciatori a Delfi per consultare l'oracolo. Nell'attesa del loro rientro un anziano di Veio predisse, «alla maniera di un indovino», che i Romani non sarebbero mai riusciti a sconfiggere la sua città senza prima aver fatto defluire, secondo le prescrizioni rituali, le acque del lago. Anche gli ambasciatori di ritorno da Delfi consegnarono un vaticinio sostanzialmente analogo. Dionigi d’Alicarnasso, Cicerone, Valerio Massimo, Plutarco e Diodoro Siculo riferiscono gli avvenimenti in modo simile a Livio. Il fatto che un aruspice etrusco e un celebre oracolo abbiano suggerito di drenare le acque di un invaso privo di sbocco naturale, confermerebbe che i Romani, proprio in quell’epoca, abbiano iniziato a realizzare importanti opere d’ingegneria idraulica sulla scia delle conoscenze acquisite ben prima di loro da Etruschi e Greci. La stessa Veio fu infine conquistata (396 a.C.), dopo anni di assedio, penetrando sotto alla rocca attraverso dei cunicoli. Per l’esplorazione dell’emissario si partì con analisi delle acque e dei fanghi interni e con immersioni speleosubacquee dalla zona dell’incile, l’area monumentale di captazione dell’acqua del lago. Nonostante professionalità e l’impiego di attrezzature subacquee professionali, non fu possibile superare il tratto in cui la volta del cunicolo si abbassa sino ad occludere il condotto, perché uno strato di acqua di soli 20 centimetri sovrastante un ben più consistente strato spesso e colloso di fango semiliquido rendono impossibile la progressione. Passati all’area di deflusso presso i fontanili in località Le Mole di Castel Gandolfo, il condotto si presentava colmo di rifiuti.
Effettuata una sommaria ripulitura per consentire il passaggio in sicurezza delle squadre di esplorazione, dopo circa 70 metri, in corrispondenza di un pozzo, un accumulo di terra e materiali provenienti dai campi sovrastanti precludeva completamente la progressione. L'emissario risultava quindi percorribile per soli 36 metri sul lato incile e per soli 70 metri dal lato dei fontanili, a fronte dei circa 1.500 metri totali che attendevano ancora di essere esplorati e documentati. Spostatisi sul pianoro sovrastante il pozzo, con interventi di sterro piuttosto impegnativi e complessi e grazie alla cortesia e disponibilità del proprietario del terreno, è stato possibile rimuovere buona parte dell’ostruzione ripristinando l’originaria percorrenza dell’acqua e proseguire l’esplorazione fino a due grandi colate calcitiche, frutto della lunga percolazione, che occludono il manufatto. Con il superamento delle grandi concrezioni, reso possibile anche grazie a tecniche speleosubacquee, le squadre di tecnici e ricercatori sono riuscite a percorrere l'emissario per più di un chilometro constatando le perfette condizioni strutturali del canale sotterraneo, ad eccezione di alcune zone che presentano crolli avvenuti in epoca imprecisabile. L’acqua, che in alcuni punti supera i due metri e venti di profondità, è ancora presente per la costante percolazione e non certo grazie all’alimentazione dal lago, oggi impossibile per via del suo rilevante abbassamento rispetto al livello originario. Dopo qualche centinaio di metri dalla concrezioni l’esplorazione è stata nuovamente interrotta, anche qui, a causa del consistente strato di fango e la bassa profondità dell’acqua. Per rendere percorribile il canale sotterraneo è quindi indispensabile rimuovere questo impedimento e in proposito il team ha elaborato diverse ipotesi progettuali. I problemi non sono però di ordine tecnico. Per l’esplorazione, la documentazione, le analisi e gli studi collegati e le operazioni tecniche, durate più di quattro anni, Hypogea ha profuso uno sforzo tecnico scientifico ragguardevole senza alcun onere per la collettività e a proposito del quale, solo per limitarsi ad aspetti economici, se non fosse stato fornito da volontari specializzati e dalle diverse, prestigiose e gratuite collaborazioni esterne, avrebbe richiesto un costo intorno ai 240.000 €.
Le ipotesi operative per il completamento della ricerca e, in particolare, per rendere possibile la percorrenza dell’intero emissario sono quindi ferme. Ciò avviene per la totale assenza di sostegno economico diretto o indiretto ma, soprattutto, per la scarsa attitudine delle strutture pubbliche territoriali verso cooperazioni pragmatiche. Hypogea non chiede soldi; ma spera nel buon senso e che la sua proposta di allagamento del gruppo di lavoro operativo possa concretizzarsi. E’ stato ipotizzato di valutare la possibilità che alcune articolazioni del sistema pubblico intervengano con mezzi e professionalità proprie, e quindi già pagate, integrando il team Hypogea riducendo praticamente a zero i costi vivi dell’operazione. Alcune Amministrazioni di Stato con le quali ASSO intrattiene costruttivi rapporti di collaborazione si sono dichiarate disponibili a parlarne, come nel caso del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ma le Amministrazioni Locali, Parco e Comuni, si limitano al plauso per l’iniziativa. Ma, si sa, ognuno ha il proprio buon senso. 

Cliccare qui per informazioni e trailer del documentario ASSO “Progetto Albanus: dentro l’antico emissario” di Massimo D'Alessandro



martedì 13 aprile 2021

Il Museo del Mare a Civitavecchia ... in alto mare

A noi di A.S.S.O. sembrava l'uovo di Colombo dopo che Roma - nonostante debba gran parte della sua magnifica storia alla potenza navale - abbia sempre guardato le documentate proposte del Centro Archeologico Studi Navali e del Laboratorio di Archeologia Navale Sperimentale con la puzza sotto al naso oppure con interessi di breve periodo. 

Proposta allora ripensata su Civitavecchia la cui storia dei luoghi, il forte michelangiolesco inutilizzato e la presenza di migliaia di croceristi che - per il poco tempo a disposizione e la carenza di luoghi interessanti - giravano in epoca pre pandemica senza meta nella città; ne facevano una ubicazione favorevole sotto tutti i punti di vista. 

Il tutto rendeva quindi Civitavecchia una sede banalmente ideale. Non sarebbe stato nemmeno necessario attrarre i visitatori, sarebbero cascati dentro il museo a frotte!! Troppo semplice ? Ovvio... Dopo anni di tira e molla, autofinanziamento, e anche grazie al determinante supporto delle Guardia Costiera e dell'Autorità Portuale, il progetto è partito e l'allestimento quasi ultimato... peccato che l'amministrazione comunale subentrata alla precedente non sembra abbia grande interesse alla partenza, anzi. La situazione è veramente imbarazzante e oltremodo nota e ci sembra molto strano che un'amministrazione non "cavalchi" un progetto già avviato che, tra i pochissimi, non preveda uso del suolo, richiesta di finanziamenti diretti o altro di quanto si possa immaginare. 

Siamo sicuri, quindi, che il buon senso prevarrà e speriamo che ciò avvenga presto per evitare che sia troppo tardi per il Museo, il Comune e.... Civitavecchia. La lettera di Mario Palmieri - Responsabile del Centro Archeologico Studi Navali e del relativo Laboratorio di Archeologia Navale Sperimentale - indirizzata al Comune di Civitavecchia riassume la tragicomica situazione a proposito della quale lasciamo a chi legge ogni valutazione. QUI IL LINK ALLA LETTERA

venerdì 9 aprile 2021

Mondi sommersi e sotterranei (4): Le vie sotterranee dell'acqua e la sorgente di Su Gologone

 LA SPELEOLOGIA SUBACQUEA E LE VIE SOTTERRANEE DELL’ACQUA

(Mario Mazzoli, A.S.S.O.)

Succede spesso che, dopo ore o giorni di permanenza in grotta, gli speleologi si trovino di fronte ad una barriera d’acqua che impedisce la prosecuzione dell’esplorazione. Fiumi e laghi sotterranei, oppure una banale pozza colma d’acqua nella quale sembra finire l’ultimo pozzo appena disceso. Ma per essere sicuri che effettivamente la grotta termini in quel punto, o che invece l’acqua possa nascondere nuove scoperte, interviene uno speleologo particolare, lo speleosub. Questi specialisti praticano immersioni piuttosto complesse che sono condizionate dalle caratteristiche fisiche degli ambienti in termini di progressione, attrezzature, allenamento e, soprattutto, di assetto mentale. Al di là di un non trascurabile impegno fisico, infatti, si aggiunge un certo livello di stress mentale che può essere contenuto solo grazie a grande padronanza nell’uso e predisposizione delle attrezzature e un costante allenamento. Svolta in ambiente ostruito, ovvero senza contatto diretto con la superficie, l’immersione è condizionata dall’impossibilità di poter riemergere in qualsiasi momento sulla verticale e dalla conseguente necessità di dover ripercorrere all'inverso il tragitto fatto all'andata per poter guadagnare la superficie esattamente dove ci si era iniziato. 

Visto che nessun inconveniente può essere risolto con una risalita di emergenza, lo speleosubacqueo deve dedicare massima attenzione alla prevenzione di possibili problemi e, quando questi si presentano, deve essere in grado di risolverli sott'acqua da solo e senza emergere. E’ quindi evidente come, per le immersioni, le grotte siano ambienti molto particolari dove la sicurezza dei subacquei dipende quasi esclusivamente dalla loro preparazione specialistica, dal livello tecnico e adeguatezza quantitativa delle attrezzature e dalle procedure di progressione utilizzate. Si tratta in ogni caso di ambienti molto diversi: sorgenti che sboccano in mare o che si aprono sotto dirupi e montagne o micidiali percorsi speleologici, che alternano pozzi verticali, progressioni in tratti asciutti, sifoni, risalite, altri sifoni dove la tecnica conta quanto la testa. Per rendere immediata la sostanziale differenza di approccio e di mentalità tra coloro che praticano queste immersioni e chi opera in acque libere, come mare e laghi, può essere sufficiente un semplice esempio. Il sistema di coppia, fortemente raccomandato per le immersioni in acque libere, in grotta viene messo radicalmente in discussione poiché la progressione speleosubacquea avviene quasi esclusivamente in solitaria.

Ecco perché lo speleologo subacqueo, nel suo profilo mentale, è bene che sia prima uno speleologo e poi un subacqueo. Comunque: professionalità, attrezzature specialistiche e sete di conoscenza; tenendo sempre a mente ciò che ricordava il famoso speleosub Bill Stone: …esistono speleosub anziani e speleosub temerari. Non esistono speleosub anziani e temerari. 



LA SORGENTE DI SU GOLOGONE

La sorgente, circondata da un parco meraviglioso nel comune di Oliena (NU), si presenta come una spaccatura lunga una decina di metri colma di acqua trasparente. Prima cosa, posizionare una corda fino a -36 metri per la linea decompressiva riservata a chi effettuerà la punta e una parallela per la linea di sicurezza per gli speleosub che si alterneranno in immersione. Si controllano i rebreather - i respiratori a circuito chiuso - le numerosissime bombole di miscele respiratorie, gli analizzatori di gas, i computer e poi .. le prime immersioni. Giù lungo la spaccatura che forma il laghetto fino a -36 metri; sulla sinistra di vede l’entrata vera e propria della grotta. Si cerca un buon punto di ancoraggio; si fissa il filo di Arianna e via! L’ambiente è piuttosto ampio anche se intricato con profonde intersezioni di strato: bisogna capire quella in cui infilarsi. Dopo diversi tentativi a – 65 metri si trova un passaggio; vi si lasciano alcune bombole per la decompressione. Qualche metro e la grotta cambia forma: le spaccature presenti ovunque lasciano spazio ad una grande sala con il fondo coperto di sassi levigati dalla corrente. A -78 metri si fissa la sagola lasciando sul posto il rullo che la conteneva; se ne aggancia un’altra e si depongono altre bombole; sopra di noi una serie di spaccature verticali: dei camini. Dopo diversi tentativi in zone chiuse o troppo strette si trova il passaggio, ci si infila e si percepisce subito una forte corrente contraria che obbliga ad aiutarsi con le mani sul fondo per proseguire. La grotta risale e poi riscende fino a -104 metri, siamo a 320 metri di distanza dall’entrata. Si collega un nuovo rullo di sagola guida e si inizia a svolgere filo, le bombole di scorta appese addosso ai sub di punta sbattono dappertutto e il respiratore a circuito chiuso riceve diverse botte ad ogni movimento. Dopo una ventina di metri, percorsi strisciando, la grotta si allarga leggermente, -111 metri, -120, continua a scendere. Siamo a -135, si fissa la sagola e con quella di soccorso si cercano prosecuzioni: nulla da cui poter passare. Sei speleosub, sei speleologi di supporto, cinque giorni di lavoro, trentotto immersioni, 520 metri di rilievo e uno di noi che raggiunge in -135 metri di profondità. Su Gologone finisce qui; al momento.



venerdì 2 aprile 2021

Mondi sommersi e sotterranei (3): Cavità Sotterranee Artificiali e nulla esiste se non è documentato, anche la storia sotto i nostri piedi (rubrica de "Il nuovo corriere di Roma e del Lazio")

 

CAVITA’ SOTTERRANEE ARTIFICIALI (Mario MAzzoli, A.S.S.O.)

Spesso si attribuisce una scarsa importanza alle cavità artificiali presenti nel sottosuolo. Quando ciò avviene, l’attenzione si concentra quasi esclusivamente sui rischi ad esse collegati - crolli, sprofondamenti, rotture di acquedotti e fognature ed altre vicende spiacevoli - come se il problema fossero solo le cavità e non chi ci abbia costruito sopra senza criterio. Queste opere sono però importanti non solo per i rischi conseguenti ma anche per le opportunità di ricerca e sviluppo socio-economico che offrono e che, per essere colte, hanno bisogno di un approccio integrato e multidisciplinare che non sempre è presente. Partiamo da una delle diverse prospettive con le quali può essere affrontato l’argomento: quella speleologica. Il termine speleologia si riferisce generalmente ad attività che riguardano le grotte, ma parole come grotta, caverna, cripta, cunicolo, fanno riferimento ad una matrice pratica ed emotiva comune: a ciò che è nascosto. Mentre è quindi intuitivo abbinare l’attività dello speleologo all’esplorazione delle grotte, meno può esserlo quando si parla di strutture edificate sotto terra oppure finite nel sottosuolo per le modificazioni naturali o antropiche del territorio L’Italia, per sua conformazione, struttura geologica e storia, presenta una grande varietà di cavità artificiali. 

Si tratta di opere antropiche legate alla captazione e all’adduzione idrica, alla conservazione di neve e ghiaccio, all’estrazione mineraria o di pietre da taglio, al culto, all’architettura militare, alla sepoltura. Abbiamo quindi testimonianze millenarie di acquedotti, reti sotterranee di ingresso e deflusso delle acque, pozzi, miniere dismesse, antiche chiese, sotterranei, cisterne, eremi, ripari rupestri, depositi, ossari, strutture ad uso militare. Un mondo di vuoti nascosti che rappresenta un prezioso territorio da esplorare, documentare e, perché no, da rendere fruibile per sostenere lo sviluppo socio economico e la divulgazione. Si tratta però di luoghi bui, umidi, talvolta angusti, con pozzi e dislivelli verticali e che presentano rischi particolari. Occorre porre particolare attenzione alle criticità dell’ambiente, al decadimento dei materiali di sostegno e passaggio, valutare attentamente la qualità dell’aria ed avere chiare le responsabilità che ci si assumono nel frequentare ambienti spesso sottoposti a tutele, vicoli o soggetti a divieti. E’ per questi motivi che l’esplorazione e la documentazione richiedono competenze ed attrezzature specialistiche proprie della speleologia. Si tratta comunque di un grande lavoro di squadra nel quale le competenze speleologiche sono indispensabili ma non sufficienti. Studi credibili richiedono anche analisi bibliografiche, conoscenze storiche, archeologiche, analisi dei materiali, ingegneria mineraria, geologia e quanto altro sia necessario per affrontare il tema sotto un punto di vista multidisciplinare. Un’attività a carattere scientifico, quindi, che poggia su presupposti tecnici specialistici, finalizzata a conoscere i mondi sotterranei artificiali nelle loro diverse prospettive - storia, tecnica, uso, rischio ed opportunità - capace di creare passione attraverso una lettura non banale e approssimativa dei luoghi visitati. 

NULLA ESISTE SE NON E’ DOCUMENTATO, ANCHE LA STORIA SOTTO I NOSTRI PIEDI. 

Gli speleologi italiani, a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, hanno censito e documentato topograficamente, fotograficamente e recentemente in 3d, migliaia di sotterranei artificiali di interesse storico e antropologico realizzati dall’uomo o da esso riadattati alle proprie necessità. Alla fine degli anni ’80 fu varato dalla Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana un censimento dedicato, sviluppato su base regionale, denominato “Catasto delle cavità artificiali italiane”. Parallelamente fu predisposta una classificazione tipologica delle cavità artificiali in base alla funzione - intesa come destinazione d’uso - a cui la struttura sotterranea era adibita, che ne identifica in modo sintetico la natura. Dal 2012 tale classificazione è stata ufficialmente acquisita anche in ambito internazionale dalla UIS - International Union of Speleology - organizzazione mondiale di riferimento per la speleologia. Ad oggi il Catasto Nazionale non ha ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale da parte degli Enti preposti alla cultura o alla tutela del territorio, mentre i catasti regionali hanno avuto destini diversi a seconda delle diverse sensibilità delle locali amministrazioni. La situazione attuale si presenta dunque assai variegata, con regioni che hanno attivato specifici accordi con le realtà speleologiche regionali ed altre che ignorano completamente il lavoro svolto. Nelle zone d’Italia dove non esistono ancora riconoscimenti da parte delle regioni sussistono rapporti inutilmente complicati con gli Enti interessati ad acquisire i dati speleologici per i più diversi fini. 
Tra gli Enti, c’è chi non se ne è mai curato ed oggi è stato folgorato sulla via di Damasco; c’è chi si era avvalso di persone competenti che guardavano lungo avviando progetti seri di integrazione e che, per lo spoils system o altri motivi, sono state rimosse. Ci sono anche esempi locali di ottimi lavori finalizzati ad analizzare la pericolosità geomorfologica, ad intraprendere azioni di monitoraggio e consolidamento, a pianificare interventi di valorizzazione e fruizione. Come al solito, una situazione a macchia di leopardo. In questo quadro almeno una cosa è certa: non si ha intenzione di cedere, senza alcuna tutela e garanzia sulla costanza di aggiornamento e condivisione dei dati, il lavoro di centinaia di speleologi che per anni e anni hanno documentato la storia sotto in nostri piedi.