mercoledì 16 giugno 2021

Mondi sommersi e sotterranei (extra): Quanti vuoti sotto la città. Cosa nasconde il sottosuolo della città eterna.

QUANTI VUOTI SOTTO LA CITTA'. Cosa nasconde il sottosuolo della città eterna. (Mario Mazzoli, General Manager A.S.S.O. Onlus)


Si apre una voragine, si forma una grande buca che espone e danneggia impianti idrici, elettrici e, talvolta i fabbricati soprastanti. Episodi spesso dovuti a un’intricata rete di gallerie sotterranee, anche a più livelli, scavate in passato a vario titolo ma in prevalenza per l’estrazione di materiali da costruzione vulcanici come il tufo e la pozzolana, oppure sedimentari come ghiaie, sabbie e argille. Alcune cave sono state successivamente utilizzate come aree di culto e cimiteriali, catacombe e ipogei privati mentre altre sono state impiegate in tempi successivi come depositi e fungaie. 

Molti sono gli studi di tipo archeologico e geologico-geotecnico riguardanti le cavità sotterranee nel territorio di Roma ma, purtroppo, questi vuoti sotterranei sono conosciuti in modo incompleto oppure, in alcune situazioni locali, sono stati ignorati edificando nella zona soprastante abitazioni e infrastrutture senza operare idonee bonifiche, con tutte le conseguenze del caso. Un antefatto. Era il 1994 e a seguito di studi precedenti e ispezioni in diverse città fu subito chiaro che il sottosuolo di molte aree urbane era praticamente terra di nessuno. Guidato da un approccio rivelatosi quasi subito troppo ottimistico pensai di proporre al Comune di Roma una scelta organizzativa pratica per affrontare un tema così vasto e multidisciplinare. 

La proposta divenne un progetto, non a caso denominato HYPOGEA URBIS. 

Dopo un paio d’anni di infruttuosi tentativi per identificare una controparte che potesse fungere da capo commessa per tutte le organizzazioni (pubbliche, municipalizzate, private o pseudo tali) che mettono mano, o dovrebbero mettere mano, nel sottosuolo, ne pubblicai la sintesi. Grande successo e molto credito venne da parte degli specialisti (geologi, idrogeologi, speleologi, ingegneri, paesaggisti, archeologi, ecc.) ma poco o nulla da parte degli Enti locali e di quelli deputati alla ricerca. Non si trattava certo di una soluzione miracolosa o di una intuizione da marziani ma di sicuro anticipava il crescere di numerosi problemi e identificava con chiarezza l’urgente necessità di un coordinamento scientifico e operativo tra tutte le articolazioni della pubblica amministrazione impattate. Forniva anche alcune soluzioni organizzative rispettose delle prerogative dei molti attori. 

Il trascorrere degli anni ha solo parzialmente migliorato la situazione rispetto a quanto si sarebbe potuto fare e qui sta il problema. Una situazione storicamente molto complessa che presenta rischi ed opportunità multisettoriali non può essere affrontata tramite la frammentazione delle attribuzioni e delle controparti. In sintesi: la competenza c’è, l’organizzazione meno. Questi vuoti sono una eredità del passato remoto mai affrontata in modo integrato nel passato recente. Non a caso il progetto HYPOGEA URBIS nel suo sottotitolo recitava “.. per la costituzione di una organizzazione finalizzata al censimento, rilievo, studio, monitoraggio, pianificazione, valorizzazione e utilizzo degli ambienti ipogei in aree urbane”. L’intento era quindi di indentificare uno strumento che potesse affrontare la tematica sottosuolo delle aree metropolitane nella sua completezza e in un’ottica interdisciplinare per censire, studiare, documentare e controllare in modo integrato ed esaustivo gli ambienti sotterranei vecchi e nuovi. Stiamo parlando di catacombe, acquedotti, cave, cripte, cunicoli, fogne, cisterne, sotterranei, rifugi, cavità naturali, zone di sepoltura, mitrei, cantieri sotterranei, tunnel metropolitani e ferroviari, tracciati e condutture per impiantistica e servizi, camminamenti e fortificazioni militari. Si puntava a centralizzare l’approccio al problema e l’inquadramento della tematica, elementi indispensabili per addivenire ad una visione univoca e per interventi coerenti con lo scenario. 

L’esatto contrario di quanto è avvenuto negli anni successivi, nonostante le sollecitazioni dei professionisti e sporadici contatti con i rappresentanti di tutte le Giunte Comunali che si sono succedute. E’ successo ciò che qualcuno, più sveglio di chi scrive, aveva già predetto: “Il progetto è ben congegnato, ragionevole e necessario ma non credo riuscirai ad attivarlo. L’integrazione, che costituisce la sua forza, è anche la sua debolezza perché te l’aspetti da strutture pubbliche che ragionano diversamente”. Torniamo al tema su tre aspetti rilevanti. Il primo: i vuoti nel sottosuolo non sempre sono un problema ma possono anche rappresentare una opportunità per riutilizzi e valorizzazione. Il secondo afferisce agli impianti delle municipalizzate gestiti negli anni in modo totalmente autonomo e disordinato. Il terzo è riferito alla pesante eredità in materia che si assume chi prende il governo della città; è facile parlare di strategie ma è impossibile aspettarsi da chiunque miracoli che non riguardino aree circoscritte. Come si diceva, per il fatto che si sia persa la memoria della presenza di moltissimi vuoti sotterranei è difficile stabilire quale sia il contributo alle condizioni di rischio che tale fenomeno causa, incidendo anche sulla vulnerabilità delle strutture soprastanti o degli impianti limitrofi. In alcuni casi si verifica il crollo della cavità fino all’apertura di vere e proprie voragini in superficie mentre, altrove, le cattive condizioni di stabilità sono dovute alle reti idriche e fognarie le cui perdite degradano le caratteristiche geomeccaniche del materiale nel quale la cavità sia stata scavata. 

L’analisi di questi vuoti, dal punto di vista professionale, richiede il supporto di tecnici specialisti che forniscono alle amministrazioni pubbliche e ai privati delle valutazioni del rischio, progetti per opere di prevenzione o risoluzione di gravi fenomeni di sprofondamento del suolo indotti dal collasso di calotte, pilastri o setti di roccia che costituiscono gli ipogei. L’interesse per questi ambienti è anche storico culturale poiché idonee politiche di valorizzazione possono portare positive ricadute socio economiche e non solo elementi di preoccupazione per la pubblica e privata incolumità. 

Ciò implica però un costante impegno verso la definizione delle geometrie dei vuoti sotterranei, dei modelli geologici e geotecnici, delle infrastrutture presenti sopra le cavità, dell’uso del suolo nelle aree circostanti, delle analisi di stabilità e del loro controllo e monitoraggio nel tempo. Il tutto attraverso delle fasi di lavoro che riguardano il censimento e catalogazione delle cavità; l’analisi della pericolosità territoriale; le tecniche e procedure di monitoraggio, il consolidamento, la valorizzazione e l’eventuale fruizione. Oltre agli specialisti, tra coloro che chiedono un approccio del genere ci sono gli speleologi che, a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, hanno censito e documentato in Italia migliaia di sotterranei artificiali di interesse storico e antropologico e che, nell’ambito della Società Speleologica Italiana, hanno sviluppato un data base regionale denominato “Catasto delle cavità artificiali italiane” mediamente ignorato dalle Istituzioni sino a poco tempo fa. 

Tra le prime municipalità ad attrezzarsi in materia, invece, si conta Napoli con la sua banca dati territoriale che riunisce e sistematizza, in un quadro conoscitivo dettagliato, informazioni georiferite relative alle cavità, all’assetto geologico del sottosuolo ed ai fattori predisponenti gli sprofondamenti. Per concludere, diversi sono stati e sono i Gruppi di Lavoro e gli Uffici Pubblici che studiano e operano sul tema ma ciò di cui si sente la mancanza è un coordinamento pratico ed operativo che estenda la sua portata dall’emergenza alla pianificazione e al monitoraggio esteso delle situazioni a maggiore rischio. 

In termini pratici, chi abbia sospetti di tali rischi oppure ne conosca cause o effetti non può che rivolgersi al Municipio di appartenenza. Questo avrà l’onere di contattare i relativi uffici comunali per valutarne il livello di rischio e la conseguente urgenza.



lunedì 14 giugno 2021

Mondi sommersi e sotterranei (14): Documentaristica tra scienza e avventura, tecnica e genialità di Massimo D’Alessandro

DOCUMENTARISTICA TRA SCIENZA E AVVENTURA: TECNICA E GENIALITA’ DI MASSIMO D’ALESSANDRO (Mario Mazzoli - ASSO)

Archeologia, esplorazioni, ricerca scientifica e avventura sono ingredienti che spesso accompagnano la divulgazione. Anzi, quest’ultima si nutre dei loro contenuti e, a sua volta, riesce a veicolarli al grande pubblico che difficilmente sarebbe attratto da complicate relazioni scientifiche o da riprese di due ore necessarie a documentare il superamento di una micidiale strettoia da parte di uno speleologo. Conseguentemente, il successo di un documentario, per chi scrive, è decretato dal raggiungimento, o meno, di un delicato equilibrio tra le due prospettive complementari: quella del rigore e della credibilità dei contenuti con le modalità di divulgazione. Mettere su una storia credibile e avvincente; questo generalmente è l’obiettivo di un buon doc. Ne parliamo con Massimo D’Alessandro, regista e autore che, affiancato da Maria Teresa Pilloni in veste di produttore esecutivo, ha realizzato diversi documentari di successo, molti dei quali basati su ricerche e storie di ASSO. 

D: Chi è Massimo D’Alessandro? R: Nasco come informatico ma sono sempre stato un appassionato di teatro e di cinema del quale ho sempre apprezzato non solo moltissime opere ma anche le modalità e le tecniche con le quali alcuni argomenti e situazioni venivano e vengono trattate. D: Ti sei quindi interessato da subito anche a quanto ci sia dietro un’opera cinematografica? R: Si, e devo dire che forse è proprio questo che mi ha sempre affascinato; capire come vengano veicolate sensazioni, emozioni, la scelta delle luci e delle inquadrature, il mix tra immagini e musiche .. un equilibrio o una forza d’insieme che cambia di volta in volta, da scena a scena da momento a momento. D: Cosa racconti nei tuoi documentari? R: Principalmente storie di persone contestualizzate nelle tracce della storia antica o nel mondo dell’avventura e della natura. Storie delle persone stanno anche dietro alla presentazione di luoghi del passato e quando questi vengono proposti cerco sempre di dare un cenno verso chi li abbia realizzati o che oggi li stia riscoprendo o studiando. Si tratta quasi sempre di un “viaggio” in un contesto archeologico o avventuroso letto dalle emozioni di chi lo pratica e, ovviamente, dello spettatore. D: Questa risposta mi fa tornare alla mente ciò che mi disse una suora, che sedeva vicino me, dopo aver assistito alla proiezione del tuo “Panta rei, tutto scorre” dedicato all’esplorazione delle grotte sommerse di Diros. “Pensate di aver realizzato un documentario di avventura ma invece si tratta di un’opera mistica. 

La grotta è il palcoscenico ma il filo conduttore è introspettivo: la sete di avventura, il timore per l’ignoto, il buio che ti chiama la sfida interiore degli esploratori .. veramente bello e educativo”. R: Beh, non tutte le ciambelle riescono con il buco come in quel caso ma lo sforzo costante è proprio di quello di saltare continuamente dalle cose o dai luoghi alle persone. D: Quale è il principale impegno nel realizzare un tuo doc? R: Puntare al costante bilanciamento tra la credibilità dei contenuti e la necessità di tenere sveglio lo spettatore senza cadere, viste le materie trattate, in facili rappresentazioni da superuomini o superdonne oppure in aggettivazioni roboanti. Molti sono i documentari che esaltano personalità o situazioni, a mio avviso, in modo esagerato passando per straordinarie attività di certo non fantascientifiche. Pur nella ricerca costante di motivare lo spettatore a rimanere a guardare, credo ci sia un limite molto sottile tra l’emozione e il rambismo o le sparate clamorose. Non è facile ma cerchiamo di non valicare questo impalpabile limite. D: Quindi il tuo approccio è stato immediatamente rivolto verso la regia. R: Ho iniziato insieme a Marco Campolungo, eccezionale cameraman e grande amico, con il trailer della ASSO sperimentando un approccio partecipativo da parte di tutti i componenti del team. 

La partecipazione degli esploratori ASSO non si limitò alle riprese in corso di diversi lavori e ricerche ma fu estesa alle fasi di selezione delle riprese e al montaggio. Un’esperienza molto interessante ma, eufemisticamente, poco proficua. Qualcuno era innamorato di alcune immagini altri di diverse, io toglierei questo e tu quest’altro. In breve: dopo diversi documentari e molti successi internazionali non abbiamo ancora finito i cinque minuti del promo della ASSO. D: Allora come fai? R: Butto giù una storia, chiedo pareri e suggerimenti a specialisti dell’argomento, mi documento, concordo lo showreel con gli altri autori, guardo le riprese vedo ciò che manca e le procuro oppure le giriamo, monto una prova, la verifico con un team ristretto, rielaboro il tutto, concordo i testi e scelgo le musiche, bozza semi definitiva e controllo finale da parte del team ristretto D: Pur essendo una organizzazione nota e aver ricevuto numerosi riconoscimenti anche internazionali per i tuoi doc, si tratta pur sempre di una realtà di nicchia. Non è quindi possibile avvalersi di tutte le figure professionali che sarebbe auspicabile avere nei progetti. Spiega come ti regoli per le sceneggiature, la direzione della fotografia per inquadrature, movimenti di macchina. R: Semplice, generalmente lo faccio io. D: Dici sempre che la tua principale difficoltà, quando operi per ASSO, è quella di far diventare degli esploratori anche un po’ attori. R: Effettivamente questo costituisce spesso un problema. 

Per motivi pratici ed economici siamo costretti a far coincidere le operazioni tecniche con le riprese e ciò, pur conferendo grande spontaneità e realismo, pone diversi problemi. Chi va di qua chi va di la, attrezzature in mezzo, i tecnici presi dalla loro specifica mansione nell’operazione, commenti talvolta irripetibili che ti costringono a eliminare l’audio o a registrarlo di nuovo, quasi nessuno che ti dia retta. D: Come li convinci a collaborare accettabilmente? R: Basta ricordare a tutti che ho sempre la possibilità di pubblicare i backstage o di realizzarci un intero film tragicomico. Tutti diventano bravi all’istante, ma dura poco. D: Come si procede quindi sul set? R: Dopo aver condiviso gli obiettivi della giornata cerco di esplicitare quello che vorrei realizzare e, per capire come potrebbe funzionare meglio, ascolto attentamente gli altri. Certo, ho le mie manie e talvolta quando chiedo di ripetere la scena sono oggetto di commenti non proprio lusinghieri ma sono i miei amici e poi, fino a che il mio archivio di backstage è intatto e custodito in un luogo segreto, li tengo in pugno. 

Per informazioni: www.massimodalessandro.com






sabato 12 giugno 2021

Il Colosseo e il MANN “uniti” da un portale. Da oggi la tecnologia SLIDEDOOR collega in tempo reale i due Istituti.

Il Colosseo e il MANN “uniti” da un portale. Da oggi la tecnologia SLIDEDOOR collega in tempo reale i due Istituti.  Al via un nuovo itinerario culturale tra reale e virtuale. Nuove connessioni per i Musei del futuro. 

Grazie al portale SLIDEDOOR, da oggi il Museo Archeologico di Napoli e il Parco archeologico del Colosseo sono più vicini e uniti oltre che da legami culturali, anche da prospettive virtuali. SLIDEDOOR è uno strumento di sofisticata tecnologia, ideato dall’ingegno tutto napoletano dalla Factory Slide World: il progetto consiste nella realizzazione di portali a grandezza naturale, attraverso cui è possibile guardare ed essere guardati, vivendo l’esperienza di avere di fronte a sé persone e luoghi in realtà molto distanti. 

La tecnologia 4k live cam-streaming è così al servizio di una raffinata filosofia progettuale: dal lato opposto del portale c’è un’altra persona che osserva e, al tempo stesso, è osservata; ognuno dei due protagonisti è inserito nel proprio contesto di riferimento, ma le due realtà si fondono ed emergono le comuni radici storico-culturali. 

La realizzazione di SLIDEDOOR rientra nel progetto più ampio di ricerca per la creazione di un dizionario metamuseale dei gesti. Il trait d'union tecnologico e simbolico fra il MANN e il Colosseo, infatti, sottolinea proprio il legame tra la storia e la programmazione culturale dei due istituti: al Museo, SLIDEDOOR è nell’Atrio, di fronte al grande rilievo che, proveniente dalla Necropoli Marittima di Pompei, accoglie i visitatori con un suggestivo invito a visitare la mostra "Gladiatori"; al Colosseo, il portale è collocato al di sotto della cosiddetta Porta Triumphalis, da dove entrava la pompa gladiatori prima dell’inizio dei giochi, inquadrando così il punto di vista dell’arena e della cavea dell’anfiteatro. 

Il legame inter-istituzionale si rafforza ancora di più: dopo la felice collaborazione per la realizzazione della mostra "Pompei 79 d.C. Una storia romana" che, a cura dell'indimenticabile Mario Torelli, propone in allestimento significativi prestiti del MANN, oggi è la volta di "Gladiatori"; qui sono esposti alcuni importanti reperti provenienti dall'Anfiteatro Flavio, luogo per antonomasia dei combattimenti e degli spettacoli gladiatorii. 

Lo sguardo, tra reale e virtuale, completa una condivisione di intenti, che diviene anche promozione congiunta: in uno splendido itinerario culturale tra Roma e Napoli, il pubblico della mostra potrà visitare con ticket ridotto entrambi gli Istituti. La promozione sarà valida anche per i titolari di membership del Parco archeologico del Colosseo, la cui messa in vendita è imminente, e per i possessori di abbonamento OpenMann. "Dalla Campania di Spartacus, 'terra di Gladiatori', dove il mito ha le sue radici, all'Anfiteatro cuore dell'Impero, il Colosseo, immagine dell'Italia nel mondo: non poteva esserci occasione migliore della grande mostra che il Museo Archeologico di Napoli dedica a questi eroi dell'antichità, uomini che hanno sofferto, amato e vissuto, per aprire il nostro portale 'virtuale' con il Parco del Colosseo che è anche il simbolo di una collaborazione forte e concreta tra i due siti, sia dal punto di vista scientifico che della valorizzazione. 

"Ringrazio il Parco archeologico del Colosseo e la sua direttrice Alfonsina Russo per essere con noi in questa entusiasmante ripartenza, nel segno dell'arte e della bellezza: solo uniti vinceremo", commenta il Direttore del MANN, Paolo Giulierini. "Sono orgogliosa di questa novità che consente al Colosseo di unire la propria storia a quella del MANN, scrigno delle più importanti collezioni di antichità e custode di moltissimi reperti dal fortissimo legame con gli spettacoli gladiatorii"– commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, "E sono anche orgogliosa di aver favorito anche una connessione fisica oltre che virtuale, con l’istituzione di un biglietto ridotto per favorire la visita dei nostri Istituti", conclude il Direttore.

19 giugno, evento on-line: La convenzione di FARO, patrimonio culturale e comunità patrimoniale: un'ipotesi per Anzio

 La convenzione d FARO, patrimonio culturale e comunità patrimoniale: un'ipotesi per Anzio.



venerdì 11 giugno 2021

Mondi sommersi e sotterranei (13): ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA: ALTE PROFONDITA’ E IL POTENZIALE DELLE GROTTE IN MARE

ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA: ALTE PROFONDITA’ E IL POTENZIALE DELLE GROTTE IN MARE (Mario Mazzoli - ASSO)

Diverse sono le nuove frontiere dell’archeologia subacquea e tra le principali si contano le alte profondità. Per lavorare oltre i 50/60 metri di profondità, l’impiego di aria per la respirazione è pericoloso e quindi si utilizzano diverse miscele respiratorie che richiedono una complessa gestione se destinate ad un numero di sub elevato o se questi non siano già inseriti in un contesto di operatività subacquea piuttosto elevato. Quando effettuiamo immersioni profonde anche noi utilizziamo miscele variabili di azoto, elio e ossigeno predisponendo cavi e trapezi per la risalita, cambio miscela e decompressione impiegando anche respiratori a circuito chiuso, che hanno agevolato e reso più sicure le immersioni in profondità ma che comportano risvolti tecnologici, economici e organizzativi non trascurabili. 

Ci spingiamo quindi ad alte profondità, 120/130 metri, solo per vedere, fotografare ed effettuare mini rilievi digitali e, al nostro livello di organizzazione, sarebbe impossibile organizzare un vero e proprio cantiere sotto i 50 metri. Per profondità maggiori è infatti necessario impiegare navi di grosso tonnellaggio con adeguate attrezzature tecniche e scientifiche, poter contare su sommozzatori altofondalisti e, per andare più giù di quanto possa fare l’uomo, dotarsi di batiscafi o sommergibili. Ciò non toglie che i relitti presenti al di sotto delle quote cosiddette sportive siano tra i più interessanti e promettenti sotto il punto di vista scientifico e storico archeologico. In genere è proprio l’elevata profondità ad averli protetti dalle manomissioni e dai marosi e quindi il contesto nel quale vengono rivenuti è più o meno quello dell’affondamento: un vero e proprio bozzolo di storia. 

Tra l’altro, con l’aumentare della profondità in mare, e nel caso di acque dolci, i materiali vegetali si conservano meglio rispetto a profondità marine più contenute dove, ad esempio, prolifera la teredine (teredo navalis … appunto) un mollusco che distrugge il legno se questo non si trovi sepolto da sabbia o limo. I principali danneggiamenti che questi relitti hanno patito sono quindi principalmente, se non quasi esclusivamente, riferiti alla pesca a strascico che non può essere praticata entro le 3 miglia marine o al di sopra della batimetrica dei 50 metri. Con questa pratica si distrugge e si asporta qualunque cosa si incontri sul fondale e quindi anche i giacimenti archeologici che vengono “rasati” prelevando o frammentando i reperti che emergono dal fondale. Una seconda frontiera è quella delle cavità naturali che, un tempo emerse, per la variazione dei livelli del mare o di altri bacini acquiferi oggi si trovano sott’acqua custodendo segreti di carattere geologico o naturalistico e archeologico. Oltre a quelle sommerse dalle variazioni di livello delle falde acquifere sotterranee, dei laghi e dalla variazione del percorso di fiumi, ci sono quelle invase dal mare che, innalzatosi di circa 100 metri negli ultimi 20.000 anni, ha coperto anche aree frequentate dall’uomo in epoche lontane. 

In questi casi, ricerca, esplorazione, rilevamento e eventuale scavo richiedono la partecipazione di speleosubacquei sia perché sono gli unici a frequentare l’interno delle grotte sommerse sia perché posseggono le competenze per ridurre l’elevato rischio di incidenti. Nelle grotte, infatti, la sicurezza dipende quasi esclusivamente dalla preparazione specialistica dei sub, dal livello tecnico e adeguatezza quantitativa delle attrezzature e dalle procedure di progressione utilizzate. E’ quindi indispensabile, per operazioni in ambienti sommersi confinati, l’impiego esclusivo di speleosub con documentata esperienza; deroghe possono essere giustificabili solo per attività condotte in caverne dove sia molto evidente e luminosa l’uscita anche in caso di intorbidamento delle acque. Nelle cavità naturali si possono rinvenire prevalentemente giacimenti preistorici e altre tracce di frequentazione dell’uomo. 

Sono stati scoperti addirittura dei santuari risalenti a 27.000 anni fa, come nel caso della Grotta Cosquer sulla costa di Marsiglia. Le cavità artificiali sommerse, invece, come cunicoli, pozzi, cisterne, miniere, acquedotti, emissari sotterranei dei laghi interessano prevalentemente per lo studio sulla funzionalità e delle tecniche costruttive anche se non è raro rivenirvi reperti mobili. Anche in questi contesti è sempre necessario il supporto degli speleosubacquei e va sempre posta una particolare attenzione aggiuntiva alla qualità delle acque intesa in termini di visibilità che di carico inquinante. 

A conclusione della nostra carrellata sull’archeologia subacquea ci piace concludere con una considerazione generale legata al fatto che, al pari di altri campi della ricerca archeologica, quella subacquea necessita di un concreto e sincero approccio multidisciplinare nel quale si intersecano diverse specializzazioni tecniche e scientifiche che riguardano non solo materie di matrice indipendente ma anche professionalità diverse nell’ambito della stessa materia. Se si pensasse all’archeologia, ad esempio, è molto difficile trovare persone che assommino competenze specialistiche nello studio delle ceramiche appartenenti ad una certa epoca che siano anche esperte di architettura navale antica. E’ proprio per questo che auspichiamo un sempre più aperto e multisettoriale approccio verso la nostra storia: anche sott’acqua.



giovedì 10 giugno 2021

Archeologia, in fondo al Tevere a visibilità zero: così i carabinieri subacquei scoprono colonne romane (di Laura Martellini dal Corriere della Sera)

I sub sono partiti dalla foce del Tevere e hanno risalito il corso della Fossa Traiana, il canale di Fiumicino realizzato dagli architetti dell’impero. Il servizio Tutela del patrimonio subacqueo appena istituito dal parco archeologico di Ostia Antica.

Tre grandi fusti di colonne in marmo: pur parzialmente interrate nel letto e nell’argine de Tevere, s’intuisce che superano il metro di diametro e i due metri e mezzo di lunghezza. È l’ultima scoperta del Nucleo carabinieri subacquei di Roma, che sono partiti dalla foce del Tevere e hanno risalito il corso della Fossa Traiana, il canale di Fiumicino realizzato dagli architetti dell’impero.

Da Capo Due Rami, raggiunto a bordo di due gommoni, si sono svolte numerose immersioni con la partecipazione dell’archeologa Alessandra Ghelli, neo responsabile del servizio Tutela del patrimonio subacqueo, appena istituito dal parco archeologico di Ostia antica. Per Alessandro D’Alessio, direttore del parco, «non poteva essere più fortunato il battesimo della nuova attività, che ha portato all’individuazione nelle acque del Tevere, alla profondità di cinque metri, di tre grandi fusti di colonne in marmo». Come sono finite nel Tevere? «La Roma imperiale, nei primi secoli dopo Cristo, era senza dubbio l’approdo più ambìto, il più fiorente dei mercati per i marmi provenienti dalle cave disseminate lungo tutto il Mediterraneo — spiega D’Alessio —. Dalla Spagna al Mar Nero, passando per le coste egiziane. A volte una piccola parte dei carichi affidati al trasporto fluviale contro corrente lungo il Tevere, destinato alla stazione dei marmi al Testaccio, subìva a incidenti di percorso, e una volta finita fuori bordo la mercanzia diventava difficilmente recuperabile, specie se di dimensioni imponenti come le nostre colonne. Con il prossimo appuntamento con la tutela ..... CONTINUA A LEGGERE SUL CORRIEREDELLASERA.IT

domenica 6 giugno 2021

Il documentario "Progetto Albanus: dentro l'antico emissario" vince il SILVER AWARD BEST FEATURE DOCUMENTARY all'HOLLYWOOD GOLD AWARDS

Nel mese di maggio 2021 è stato assegnato il Silver Award Best Feature Documentary del festival Hollywood Gold Awards al documentario "Progetto Albanus: dentro l'antico emissario" di Massimo D'Alessandro prodotto dalla ASSO in collaborazione con la Federazione HYPOGEA. 




venerdì 4 giugno 2021

Mondi sommersi e sotterranei (12): ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA: RELITTI NAVALI E ORGANIZZAZIONE DI UNA RICERCA

ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA: RELITTI NAVALI E ORGANIZZAZIONE DI UNA RICERCA (Mario Mazzoli -ASSO)

Quando di pensa all’archeologia subacquea la prima immagine che si presenta i nostri occhi è quella di una antica nave affondata anche se sappiamo, come abbiamo visto e vedremo, che non si tratta dell’unico ambiente nel quale si opera. I relitti di navi sono i testimoni degli scambi commerciali e molto più raramente delle vicende belliche in mare e quindi rappresentano un contesto privilegiato per l’archeologia subacquea. Nel Mediterraneo è presente una grande quantità di relitti antichi, rappresentativa della prevalente convenienza dei traffici via mare rispetto a quelli via terra. Si pensi che per trasportare via terra le 150 tonnellate, equivalenti a circa 3000 anfore, di carico di una nave media servivano circa 370 carri ed è quindi evidente come convenisse trasportarle via mare. Numerose imbarcazioni, grande traffico, strumenti di navigazione rudimentali, forte dipendenza dalle condizioni meteo marine; risultato: tanti relitti. 

Una disgrazia per gli antichi ma una manna per i posteri che hanno ereditato questi nuclei di storia così come sarebbero apparsi, legno a parte, il giorno dopo il naufragio. I relitti navali vanno studiati tenendo conto di: struttura, giacitura, posizione, decomposizione, sedimentazione e/o il concrezionamento sul fondale, tipo e origine dei carichi che possono fornire indicazioni preziose anche sulla rotta della nave in base alla tipologia, alle iscrizioni, ai bolli, ai sigilli, ai tituli picti apposti sui manufatti. I resti della nave, invece, consentono di studiare il tipo, l’età e la provenienza dei legni della struttura, la tecnica costruttiva dell’imbarcazione, gli accessori nautici ed i particolari di funzionamento. A parte le navi ricercate e individuate grazie a tecniche di prospezione prevalentemente strumentali il rinvenimento casuale dipende dal tipo di costa e di fondale, dalle dinamiche del naufragio, dagli effetti del moto ondoso e dalla frequenza dei subacquei e della pesca a strascico. Ogni relitto è comunque un caso a sé stante. 

Il tipo di naufragio nel quale è incorso - speronamento, incagliamento, cannoneggiamento, collisione, rovesciamento, cedimento strutturale, spiaggiamento, incendio, ecc.- il livello di decomposizione della struttura, la consistenza, la tipologia del carico e le esigenze logistiche richiedono, di volta in volta, un approccio personalizzato. Talvolta succede che nella stessa area siano naufragate più navi o che queste siano affondate su “butti” o in siti precedentemente antropizzati o vicini alla costa. In questi casi si può generare un vero rompicapo per gli archeologi che devono districarsi tra presenze archeologiche talvolta distanti centinaia di anni. Accade anche che la fase di studio coincida con lo scavo: quando si elimina l’acqua. In due maniere: prosciugando l’area o asportando il giacimento. 

Esempi di prosciugamento parziale sono quelli che talvolta si eseguono nei laghi per studiare parti di villaggi palafitticoli; quello operato per il recupero delle due grandi navi del lago di Nemi emerse dopo che il livello del lago fu abbassato per più di 20 metri; il caso delle navi vichinghe di Skuldelev rinvenute nel Fiordo di Roskilde; lo scavo e lo studio del sito, di una galea veneziana e di una imbarcazione da trasporto lagunare medievali realizzato svuotando dall’acqua un’area della Laguna di Venezia. 

Sull’asportazione dell’intero giacimento, invece, potremo citare l’esempio del Mary Rose inglese affondato nel Luglio del 1545, durante l’attacco dei Francesi alla base inglese di Portsmouth e quello della nave svedese Vasa, magnifico vascello da guerra affondato nel 1628 nel porto di Stoccolma il giorno del suo viaggio inaugurale. Il Vasa fu rinvenuto nel 1956 a circa 32 metri di profondità, dopo una serie di verifiche e ricerche iniziali fu oggetto di una formidabile operazione di recupero, studio, restauro e musealizzazione. Contando sull’ottimo stato di conservazione del vascello, dovuto alle basse temperatura e al ridotto grado di salinità del Baltico, e su un corale sforzo tecnico ed economico, lo scafo fu sollevato e in diverse fasi portato a profondità sempre inferiori affinché i palombari potessero, in condizioni di sicurezza, chiudere i portelli, tappare le falle e “inscatolarlo” in un bacino di carenaggio. 

Fu così possibile studiarlo all’asciutto, sottoporlo ad un trattamento conservativo per circa 20 anni e farne bella mostra in un bellissimo museo a Stoccolma. Comunque, qualsiasi sia lo specifico campo di intervento, l’archeologia subacquea necessita di una complessa organizzazione e di un approccio interdisciplinare. Più è profondo il giacimento, più è richiesto un intervento di tipo tecnologico, tante più persone e professionalità occorrono, maggiore è la logistica e il tempo necessario; più bisogna preoccuparsi della sicurezza, più il lavoro è oneroso. A parte operazioni condotte con altissima tecnologia ed enorme dispendio di costi, è quindi bene cercare di organizzare dei metodi di indagine rapidi e flessibili. 

Questi vanno finalizzati al vero scopo di questi lavori che, come sappiamo, non è quasi mai il recupero dell’oggetto che, quando avviene, dovrebbe essere funzionale solo alla necessità di studio o di tutela del reperto o del giacimento. E’ inutile sterrare un grande spazio se poi non si hanno le possibilità economiche per ricoprirlo; è stupido recuperare parti lignee se queste non possono essere conservate adeguatamente e così via. Bisogna quindi sincerarsi, prima di agire, se siano chiari e ragionevoli gli obiettivi di minima e predisporre un project planning accurato perché anche gli aspetti logistici e finanziari vengano ben stimati e risolti. 

La nostra esperienza ci porta a ritenere addirittura prevalente una efficiente organizzazione preventiva ed esecutiva alla necessità di cospicui finanziamenti quali richiederebbe l’archeologia subacquea. Esistono oggi molte possibilità per ridurre i costi senza pregiudicare la qualità del lavoro. Il volontariato qualificato, le cooperazioni internazionali, i rapporti con le Università e le sponsorship sono alcune di queste.