L’antica città di Bisenzio, crocevia
dell’Etruria meridionale
sulla riva sud-occidentale del
lago di Bolsena, e il mistero
della sua scomparsa. Questo vogliono
indagare gli archeologi
che dal 2015 stanno studiando il
sito in provincia di Viterbo.
Tra gli studiosi impegnati in
questo importante progetto
diretto dal dottor Andrea
Babbi, c’è anche Davide Ivan
Pellandra, sammarinese, archeologo libero
professionista, che ha studiato
a Roma e si è specializzato
all’Università di San Marino
al dipartimento di studi storici.
Italia, Turchia, Grecia, Spagna i
paesi in cui ha prevalentemente
lavorato e lavora. In questo periodo
si è concentrato in questi
scavi mirati a studiare l’antica
città di Bisenzio, fiorente insediamento
sviluppatosi tra l’Età
del Bronzo e l’Età Arcaica.
“Questo progetto – ci spiega
Davide Pellandra - avviatosi
sette anni fa, cerca di capire
perché sulla sponda sud occidentale
del lago di Bolsena, una
città così importante nell’epoca
villanoviana, che precede quella
etrusca, abbia interrotto il suo
sviluppo”.

Lo studio guidato dal dottor
Babbi è cominciato utilizzando
una serie di tecniche innovative:
uso di droni, geo-radar e altre
tecniche non invasive per cercare
di documentare l’estensione
dell’insediamento e per raccogliere
quanti più dati possibile
(vedi anche a lato).
Poi, con una concessione ministeriale
del 4 gennaio 2022,
Decreto numero 1, gli archeologi
hanno avuto il permesso di
compiere indagini più approfondite,
non solo di superficie, ma
anche più invasive con carotaggi
e scavi. Nello specifico sono
stati avviati scavi archeologici
subacquei. “Anche io – racconta Davide -
ho preso parte a questi scavi subacquei
assieme ai tecnici della
Asso (Archeologia speleologiasubacquea organizzazione). Si
tratta in sostanza di ricerche e
scavi in immersione, in questo
caso nelle acque del lago di
Bolsena in una profondità che
va dai 2 metri e mezzo ai 12
metri. Devo dire che abbiamo
trovato diversi reperti che ci
aiuteranno a dare delle risposte
agli interrogativi che stiamo
cercando di risolvere”.
Ma come si svolge uno scavo
subacqueo? Ce lo spiega lo stesso
Davide: “Sulla base di alcune
indicazioni fornite da Andrea Babbi, con un gruppo di sub
specialisti abbiamo individuato
alcuni punti del fondale dove
effettuare delle prospezioni. In
queste aree abbiamo cercato di
capire che cosa potesse celarsi
sotto la coltre di fango. Attraverso
degli appositi macchinari
come ad esempio una sorbona,
una sorta di grande aspirapolvere
che crea il vuoto e aspira
sabbia e fango, si procede a dei
veri e propri scavi stratigrafici
sott’acqua intervenendo con le
mani per recuperare i reperti:
frammenti di vasi, ossa, utensili… Ecco, abbiamo fatto proprio
questo. Per due settimane
abbiamo proceduto con degli
scavi che dovrebbero portarci
e confermare la presenza di un
porto e di zone insediative. Scavi
che dovrebbero dare conferma
di tutte le ricognizioni fatte
in una prima fase con metodi
non invasivi”
Significativo il ritrovamento di
ossa di animali: “ci consentiranno
anche di risalire a quale
fosse la dieta di quel periodo”,
spiega Davide Pellandra.

Gli archeologi avevano a disposizione
tre barche, un gommone
e due barchini in appoggio tecnico.
Poi la loro esperienza, le
loro mani e il loro impegno, in
condizioni non proprio agevoli
se si pensa che le immersioni
sono state effettuate in acque
con temperature tra gli 8 e i 10
gradi. Temperature difficili da
sopportare per tempi lunghi.
“Nel caso specifico di Bisenzio
è molto importante recuperare
e classificare i reperti. La città
importava vasi bellissimi di
epoca arcaica, per fare comprendere
quelli con figure dipinte
di colore nero. Vogliamo
capire il crepuscolo di questa
città. Sott’acqua, se da un lato
il limite è il freddo unito alle
difficoltà legate all’attività di
scavo in profondità, il vantaggio
per gli archeologi è che
l’ambiente subacqueo riesce a
mantenere e conservare in maniera
migliore i reperti”.
Sarà importante attraverso i
rilievi stratigrafici, i reperti e
le ulteriori ricerche, tentare di
collegare la variazione dell’insediamento
all’innalzamento e
abbassamento del livello delle
acque del lago. Fondamentale
per capire che cosa ci fosse
3000 anni fa dove adesso c’è
acqua o fango o terraferma.
Per questo lo studio dell’area
è multidisciplinare e impegna
non solo archeologi, ma anche,
ad esempio, geologi e altri
studiosi. Adesso il prossimo
passaggio sarà “lo studio dei
reperti archeologici rinvenuti.
Personalmente - spiega Davide
- ho curato con Andrea
Babbi la redazione dei rilievi
subacquei. Quindi ho, diciamo
così, riportato in bella copia gli
schizzi a matita realizzati su
tavoletta o su appositi fogli di
poliestere, materiale specifico
per fare disegni sott’acqua. Poi
i dati ricavati da questi scavi
faranno parte di uno studio che
verrà pubblicato sulle riviste
scientifiche”. Antonio Fabbri
Che cos’è il progetto Bisenzio diretto dal dottor Andrea Babbi
Il Progetto Bisenzio nasce
come progetto di ricerca multidisciplinare
triennale, finanziato
inizialmente dalla DeutscheForschungsgemeinschaft
(DFG), sotto gli auspici della
Soprintendenza Archeologica del Lazio e dell’Etruria Meridionale
e di fatto reso possibile
in principio dalle autorizzazioni
da questa concesse ed oggi dalla
concessione ministeriale.
Il team internazionale di ricerca
è composto da prestigiosi
Istituti di Ricerca, tra i quali
l’ISPRA, ed è diretto dal Dr.
Andrea Babbi ricercatore CNR
ISPC.
Scopo del progetto è lo
studio della città “Etrusca” di
Bisenzio.
Il primo triennio di ricerca si
è concluso nel dicembre 2017.
Nel luglio 2021 ha avuto avviola seconda fase delle ricerche
che consentiranno di approfondire,
anche attraverso la
realizzazione di carotaggi nella
terraferma e nell’area del lago,
il quadro delle conoscenze
relativo alle trasformazioni ambientali
avvenute nel corso del
lungo periodo di frequentazione
del sito.
Ubicato lungo le sponde del
settore sud-occidentale del
Lago di Bolsena, l’insediamento
di Bisenzio fiorì tra il IX e
gli inizi del V secolo a.C.
Una evidente espressione della
vitalità della comunità che
viveva questo territorio sono
i ricchi e numerosi corredi funerari
rinvenuti, attualmente in
mostra presso numerosi musei
e, in particolare, presso il Museo
Nazionale Etrusco di Viterbo e il Museo di Villa Giulia in
Roma.

Il Progetto si propone di realizzare
uno studio ampio e approfondito
del sito di Bisenzio
considerato come un sistema
articolato in insediamento,
suburbio e aree di necropoli,
profondamente e dinamicamente
interconnesso al territorio
circostante.
Le attività di ricerca realizzate
da ISPRA mirano alla ricostruzione
dell’evoluzione del
paesaggio, nell’intervallo di
tempo compreso tra l’Età del
Bronzo e dell’Età Arcaica ed al
riconoscimento ed allo studio
delle tracce dell’organizzazione
e dell’uso del territorio,
attraverso lo studio dell’assetto
geomorfologico e pedologico
dell’area, il riconoscimento e
l’analisi delle forme e dei depositi
in relazione ai processi
morfogenetici che le hanno
prodotte e, infine, allo studio
dell’assetto stratigrafico locale. (Tratto da
www.isprambiente.gov.it
e aggiornato
per il presente articolo)
Dopo quasi 1.500
anni di ininterrotto
splendore, la città
si eclissò. Droni e tecniche
innovative oltre a
scavi subacquei alla
ricerca di reperti
Al principio del quinto
secolo a.C., dopo quasi mille
e cinquecento anni di ininterrotto
splendore, Bisenzio
pare eclissarsi repentinamente.
È verosimile che un simile
destino sia stato causato dal
nuovo assetto socio-politico
dei networks urbani dell’Etruria
meridionale: l’affermazione
dei grandi centri urbani di
Vulci, Tarquinia, Orvieto, oltre
all’inarrestabile innalzamento
del livello lacustre generato
forse da vari fattori, tra cui
quello climatico. Nonostante la
sua importanza, la conoscenza
del sito, tanto archeologica
quanto ambientale, è ancora
oggi lacunosa e asistematica.
Il
progetto Bisenzio (concessione
ministeriale del 4/01/2022 Decreto
1), attraverso l’impiego
di indagini non invasive, come
ricognizioni archeologiche di
superficie, geofisica, telerilevamento
e indagini cosiddette invasive,
quali carotaggi, limitati
e mirati saggi di scavo archeologico,
integrate allo studio dei
contesti recuperati nel passato
e dei dati di archivio, ambisce
a tratteggiare un quadro di lunga
durata e di ampio respiro.
L’obiettivo ultimo è quello di
offrire una lettura articolata
che, considerando tanto le
evidenze culturali (contesti
abitativi e sepolcrali, strutture
difensive, tessuto viario)
quanto quelle naturalistiche
(evoluzione del manto vegetale,
specie coltivate, fauna
selvatica e da allevamento),
restituisca alla storia uno dei
crocevia più importanti dell’Etruria
meridionale interna.
QUI DI SEGUITO L'ARTICOLO INTEGRALE: