lunedì 31 maggio 2021

In uscita a breve il nuovo Manuale tecnico operativo di Speleologia Subacquea SPELEONAUTI

Sta per essere pubblicato dopo due anni di lavoro: SPELEONAUTI – Manuale Tecnico-Operativo di Speleologia Subacquea. Gli autori - Leo Fancello, Alessio Fileccia e Mario Mazzoli - sono speleosub di provata esperienza, dirigenti e animatori della Scuola Nazionale di Speleologia Subacquea della Società Speleologica Italiana. Al manuale hanno collaborato tra gli altri importanti personalità di levatura internazionale Stefano Barbaresi, Alessandro Fenu, Stéphane Girardin, Nuno Gomes, Stefano Gualtieri, Roberto Loru, Andrea Marassich, Gabriele Paparo, Thorsten Waelde. Il Manuale sarà dedicato a DANIEL HUTNAN, speleosubacqueo di fama mondiale, grande amico e compagno di tante esplorazioni, recentemente scomparso.

venerdì 28 maggio 2021

Archeologia: un progetto per i ‘tesori’ del Bradano-Basento riemersi durante i lavori per il metadonotto

Grazie all'archeologia Preventiva, i lavori per la realizzazione dello schema idrico "Bradano-Basento" dal 2014 al 2020 hanno fatto riemergere molti siti archeologici tra Palazzo San Gervasio Banzi e Genzano di Lucania. Si tratta di resti di abitazioni, necropoli e strade posti lungo antichi percorsi. Viarium è un progetto della Soprintendenza, in collaborazione con la Pinacoteca e Biblioteca "Camillo d'Errico", che racconta questo viaggio attraverso il tempo ed il territorio. Presto ne sapremo di più.... 

"I “tesori” archeologici riemersi dal passato nel corso dei lavori per il metanodotto nell’area del Bradano-Basento saranno studiati e valorizzati nell’ambito del progetto “Palazzo San Gervasio, Banzi e Genzano (Potenza), il territorio tra archeologia e opere strategiche”, con una mostra permanente e la pubblicazione dei risultati scientifici nel prossimo volume della collana universitaria “Siris-Polieion” della Scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università della Basilicata (Osanna Edizioni). È quanto previsto in un accordo firmato dal soprintendente della Soprintendenza archeologia della Basilicata, Francesco Canestrini, e dal presidente della pinacoteca e biblioteca Camillo d’Errico, Michele Mastro. I materiali sono stati rinvenuti nel corso della realizzazione dei lavori dell’allacciamento alla linea del metanodotto Snam “Massafra-Biccari” e del tronco di Acerenza (Potenza) dello schema idrico “Basento Bradano”. La Soprintendenza ha anche candidato un intervento di ricerca nell’ambito del progetto strategico ministeriale “Appia Regina Viarum. Valorizzazione e messa a sistema lungo l’antico tracciato romano”, a Banzi, dove sono stati ritrovati “i tratti di una strada glareata, e altre importanti conferme sul passaggio della strada consolare, ipotizzato per l’Ager Bantinus, si attendono dallo studio in corso – è scritto in una nota – soprattutto in vista delle recenti scoperte effettuate nel territorio di Palazzo San Gervasio”. (fonte: TRM NETWORK)

Mondi sommersi e sotterranei (11): Archeologia subacquea: Porti, Peschiere e Punti di ancoraggio

Archeologia subacquea: Porti, Peschiere e Punti di ancoraggio (Mario Mazzoli - ASSO)

I porti rappresentano un ponte tra il mondo solido e quello liquido e, in alcuni casi, ancora oggi ne restano vive tracce delle strutture esterne e di quelle sommerse. Una lettura dei rilevamenti topografici e dei dati che emergono dagli studi specifici può fornire indicazioni sulle tecniche e materiali impiegati nella costruzione, sulla funzionalità e sull’estetica che li caratterizzava, oltre che sui motivi per i quali sono stati costruiti in un certo posto o perché siano stati modificati nel tempo. Ciò che resta degli antichi porti è infatti l’eredità di millenni di traffici in cui si è prima cercato di utilizzare i ripari naturali, poi di adattarli, poi integrali con strutture artificiali sino poi alla vera e propria escalation costruttiva ottenuta grazie all’apporto innovativo delle malte idrauliche. 

Queste ultime e l’evoluzione delle tecniche di ingegneria idraulica hanno consentito agli antichi di realizzare opere che spesso resistono ai millenni. Lo studio di queste strutture porta una miriade di informazioni non solo sulla tecnica delle costruzioni ma anche sui traffici. Dietro i porti erano spesso presenti altre installazioni nate a terra e oggi talvolta sommerse come magazzini, cantieri navali, officine, abitazioni e portici che sono oggetto di studio integrato perché il “paese porto” possa essere analizzato come un tutt’uno. Frequentemente porti moderni coprono quelli antichi come nel caso di Ponza dove rilevammo sotto la banchina borbonica le tracce del preesistente porto antico rivenendo ancora sul posto il tavolato e i pali che costituivano le casseforme nelle quali fu gettato il calcestruzzo. L’utilizzo protratto nel tempo fa dei porti dei contenitori di testimonianze di tutti i tipi e di tutte le epoche. Materiali ceramici e ferrosi, navi affondate e oggetti di vita antica fanno spesso da contorno agli immancabili rifiuti moderni ed ecco perché lo studio di quelli ancora attivi chiede di affrontare problemi legati al traffico di navi e di imbarcazioni e della protezione degli operatori dall’inquinamento organico e inorganico. Altra area di “architettura di mare” meritevole di attenzione è quella delle peschiere. Nate funzionalmente come infrastrutture per l’allevamento dei pesci sono diventate poi, nell’epoca classica, vere proprie opere di grande respiro al punto di rappresentare un vero status symbol per i proprietari. 

Sulla funzionalità delle peschiere ai fini di allevamento e di magnificenza esistono molti riferimenti e in alcuni di questi sono anche citate delle navi vivaio che trasportavano pesci rari per arricchire queste vere e proprie dependance regali. Nel caso delle “Grotte di Pilato” presso l’isola di Ponza, un complesso interamente scavato nella roccia e prevalentemente sotterraneo, abbiamo effettuato scavi e rilevamenti rilevatisi utili a migliorare le conoscenze sulla costruzione e sulla funzionalità dell’opera. Durante questi lavori sono venuti alla luce una serie di reperti che hanno contributo anche a collocarne le caratteristiche costruttive e delle decorazioni nell’ambito del Lazio e della Campania in modo particolare con Baia e zone limitrofe. In questo caso, la maestosità degli ambienti, la tecnica costruttiva, i numerosi cunicoli sommersi ed emersi, i rimaneggiamenti ai quali è stata sottoposta, le ipotesi ricostruttive, il collegamento attraverso una imponente galleria alla villa soprastante ed altri indizi; lasciano chiaramente intendere il fine di bellezza e maestosità che era ricercato nell’opera e quindi la prevalenza del ninfeo rispetto alla struttura produttiva. Tra le zone più interessanti della stessa peschiera merita menzione la stanza sommersa che si trova sotto la crepidine della vasca principale. Quasi completamente interrata, fu liberata dai detriti utilizzando una potente sorbona ad acqua portandone completamente alla luce le dimensioni ed i particolari oltre che alcuni reperti che vi erano contenuti. Scavammo anche due pozzi laterali la botola che porta alla stanza, interrati e completamente sommersi. 

In ognuno fu scoperto uno stretto cunicolo mai evidenziato prima che esplorammo utilizzando tecniche di progressione speleosubacquee per constatare che lo scavo era stato interrotto in corso d’opera. Specialisti in materia formularono l’ipotesi di un utilizzo da parte di attori che, nel corso di rappresentazioni tenute nel grande ninfeo, avevano modo di simulare diverse voci collocandosi all’interno degli stretti cunicoli. Altra area ragguardevole per l’archeologia subacquea è quella dei punti di ancoraggio che assolvevano ad una funzione molto importante nell’antichità. Chi viaggiava per mare, per esigenze militari o commerciali, aveva necessità di sostare ormeggiandosi vicino costa per riposare, aspettare migliori condizioni del mare e del clima, scambiare merci o trasbordarne da una nave ad un’altra. E’ quindi possibile rinvenire reperti legati a queste attività come: ancore in ferro e piombo, materiali gettati o caduti fuori bordo, parti di attrezzature navali, strumenti ed altro. 

Lo studio di questi punti attraverso i relativi reperti consente talvolta di risalire anche alle vie di comunicazione marittime dell’antichità. Spesso si tratta di punti di sistematico attracco segnalati anche dai portolani del tempo, talvolta invece di aree piuttosto vaste e profonde sulla cui superficie si trasferivano le merci su barche a più basso pescaggio e che meglio riuscivano ad entrare nei porti o risalire i fiumi. Fuori Ostia, ad esempio, data la foce del Tevere ed il progressivo insabbiamento del porto antico, ancoravano e sostavano le grandi navi commerciali i cui carichi erano destinati a Roma. Se si pensa che una nave con 3000 anfore pesava circa 150 tonnellate, si riesce ad intuire come il pescaggio influisse sostanzialmente nella logistica. Il trasbordo avveniva generalmente in una zona adiacente il porto ma talvolta esposta ai venti e ai marosi. Gli equipaggi, quindi, erano costretti a gettare più ancore ed essendo sballottati dal mare potevano perdere dei materiali o addirittura naufragare. In questi contesti raramente si rinviene il relitto e quindi si studiano i singoli reperti, i particolari degli stessi e l’eventuale collegamento tra loro.

venerdì 21 maggio 2021

Mondi sommersi e sotterranei (10): Archeologia sott’acqua: laghi, fiumi e zone costiere

ARCHEOLOGIA SOTT'ACQUA: LAGHI, FIUMI E ZONE COSTIERE (Mario Mazzoli - ASSO)

Per il nostro viaggio nella storia sommersa ci avvarremo di diversi scenari legati alla valutazione dei giacimenti secondo le caratteristiche ambientali nelle quali si trovano. Iniziamo dalle acque interne e, ad esempio, dalla presenza di siti preistorici nei laghi, lagune e nei fiumi, che da sempre sono stati punti di addensamento delle popolazioni. La formazione e l’identificazione di questi giacimenti archeologici è direttamente legata alla variazione dei livelli o dei percorsi che fiumi, laghi e lagune hanno registrato oltre alla capacità protettiva che le acque dolci e i sedimenti hanno saputo portare ai reperti di tipo vegetale, animale ed alle strutture. 

Gli insediamenti palafitticoli costituiscono una delle prevalenti aree di ricerca nei laghi nei quali possono ancora essere rinvenuti suppellettili, resti animali e vegetali, imbarcazioni, costruzioni abitative, opere di contenimento ed altre infrastrutture. Rispetto ai siti che esamineremo più avanti, lo studio delle emergenze preistoriche richiede uno scavo ed un rilevamento molto più accorto e dettagliato poiché la fragilità del contesto e dei reperti, oltre che la necessità di operare una accuratissima analisi stratigrafica, trasformerebbero il minimo errore in un danno irreparabile. I laghi e le lagune hanno conservato il loro interesse da parte dell’uomo anche dopo la preistoria, spesso non più per le loro vitale funzione di approvvigionamento idrico, sostentamento e protezione dagli animali e dai nemici ma anche per la felice ubicazione geografica o per l’amenità dei paesaggi. 

E’ quindi frequente il rinvenimento in prossimità dei laghi, e talvolta sommersi negli stessi, dei resti di ville antiche, templi, terme, teatri, insediamenti commerciali e produttivi di tutte le epoche. Una statua è stata da noi rinvenuta, ad esempio, nel corso di uno scavo che abbiamo condotto proprio sui resti sommersi di una antica costruzione nel lago Albano o di Castel Gandolfo. Una laguna o un lago quindi, possono essere stati oggetto di presenze, di insediamenti umani e di navigazione per un tempo estremamente lungo e dopo una prima fase di solo utilizzo, l’uomo ha anche provveduto ad adattare i laghi ai propri scopi aggiungendo infrastrutture portuali, banchine, dighe e talvolta scavando emissari per regolarne il livello. Generalmente il lavoro archeologico subacqueo in questi ambienti consente, nel caso dei nostri laghi, una certa facilità nell’organizzazione logistica; da contro non può contare quasi mai su una buona visibilità e una volta superati, se possibile, i problemi di inquinamento resta da combattere il freddo. 

Altro ambiente importante riguarda i fiumi che costituivano il passaggio dal mare alla terra per cui il circondario diventava zona di frequentazione ed attestazione per abitazioni, attività commerciali e, conseguentemente, di culto e svago. Oltre a tracce di navigazione è possibile quindi rinvenire i resti di tutto ciò. Le ricerche nei fiumi vanno affrontate con la massima attenzione anche per la sicurezza degli operatori che viene messa a rischio dalla corrente, dagli eventuali oggetti che questa trascina e soprattutto per l’elevato carico inquinante che oggi li caratterizza quasi tutti. Queste immersioni, anche se spesso sono svolte a basse profondità, sono da considerare ad alto rischio e va attentamente valutato sia l’impiego di attrezzature molto impegnative e di personale esperto sia di procedure specifiche di immersione e disinfezione delle attrezzature. Un ’altra grande area di intervento dell’archeologia subacquea è quella costituta dagli insediamenti di terra successivamente sommersi dalle acque. Si tratta di contesti locali di variazione dei livelli del mare o del suolo che ci hanno regalato degli squarci di storia avvolgendo nelle acque città ed installazioni nate come semi sommerse o totalmente asciutte. 

Se consideriamo la diffusa opinione che negli ultimi 3 o 4 mila anni il mediterraneo ha subito variazione contenuta intorno i 50/80 cmi possiamo affermare che eventuale inabissamento di queste aree sia frutto di situazioni locali come l’erosione costiera, il bradisismo negativo, l’interramento e successiva sommersione. Baia, ad esempio, oggi si trova sotto la superficie del mare da pochi metri a meno 15/16. Ad Anzio, alcuni anni fa, avemmo l’opportunità di studiare un giacimento archeologico sommerso ricco di manufatti architettonici (statue, colonne, murature, architravi, ecc.) che è soggetto alla copertura e scopertura secondo l’andamento e l’intensità delle correnti. Il vantaggio che si ha nell’affrontare siti del genere è costituito dalla omogeneità delle aree. Si tratta di enormi pezzi contemporanei di storia la cui conservazione è essenzialmente legata all’effetto del moto ondoso sia in termini di danneggiamento sia di sterramento ed interramento. 

Il fatto che, generalmente, presentino più ridotti effetti di distruzione e depredamento da parte dell’uomo rispetto a quanto sia successo per gli insediamenti rimasti a terra, conferisce poi valore aggiuntivo a questi siti che vengono studiati facendo proseguire in mare le operazioni di scavo e rilevamento che avvengono a terra. Si rimuovono i sedimenti, spesso presenti in enormi quantità, che li ricoprono; si analizza la stratigrafia; si rilevano topograficamente spesso sfruttando la vicinanza con la costa per il collegamento con i capisaldi a terra. La vicinanza alla costa e la contenuta profondità costituiscono un vantaggio mentre l’estensione e la ricchezza degli stessi anziché costituire un vantaggio, ad oggi in Italia, restano ancora un handicap. Permangono infatti oggettive difficoltà di controllo, per operare una tutela capillare, per la musealizzazione o la valorizzazione di una enorme quantità di reperti e strutture e, spesso, per la mancanza di una progettazione ad ampio respiro.





venerdì 14 maggio 2021

Mondi sommersi e sotterranei (9): Archeologia sott'acqua

 ARCHEOLOGIA SOTT’ACQUA (Mario Mazzoli, A.S.S.O.)

Mari, laghi e fiumi custodiscono numerose tracce della vita dell’uomo. Relitti navali, installazioni portuali, villaggi palafitticoli, peschiere, attrezzature legate alla navigazione, infrastrutture abitative o di produzione sommerse dalla variazione del livello del mare o dalla modifica delle linee di costa; tutte situazioni da indagare e studiare da parte di equipe specializzate. 

Come è ovvio, uno dei veicoli principali della ricerca in ambito archeologico sommerso è costituito dai subacquei che, a diverso livello di professionalità e competenze, vengono chiamati ad affiancare gli archeologi su questi giacimenti. Subacquei ce ne sono sempre stati e ci sono dei riferimenti famosi come quello di Scillia di Scione. Pausania e Plinio riferirono che Scillia e sua figlia Hydna contribuirono alla distruzione di molte navi persiane tagliando le cime che le trattenevano alle ancore lasciandole così in balia della tempesta. 

Erodoto, invece, cita di una collaborazione con i Persiani per il recupero di materiali e preziosi dalle navi affondate durante il naufragio della flotta di Serse e del successivo passaggio di Scillia con i Greci per riferire loro informazioni importanti sulla consistenza della flotta nemica. E’ comunque noto che nell’antichità la pesca delle spugne o dei murici e il recupero di carichi perduti in acqua venivano sistematicamente condotti da persone abili ad andare sott’acqua che, con il passare del tempo, si aggregarono in diverse categorie alcune delle quali furono istituzionalizzate con la costituzione di vere e proprie Corporazioni. Costoro, che i romani chiamavano urinatores, costituiscono i progenitori di quanti, come noi, si interessano a ciò che l’uomo ha lasciato in acqua. Studiare un giacimento archeologico sommerso dipende essenzialmente da come questo è connaturato e quindi dalla tipologia, dalla profondità alla quale si trova, da come è costituito il fondale, dai danneggiamenti umani o naturali che ha subito, da come si è sedimentato il deposito che lo ha coperto e dall’ambiente (salmastro, dolce, fiume, laguna, lago, mare, grotta, effetto del moto ondoso, successiva antropizzazione, ecc.) nel quale si trova. 

Tra i vari aspetti operativi, contano anche l’intensità della corrente, la visibilità, quanto il giacimento sia distante dalla costa o da altre zone emerse, quanto sia logisticamente abbordabile e via seguendo. La realtà è quindi un po’ meno romantica di ciò che ci aleggia intorno; si tratta di un notevole lavoro multi specialistico di pianificazione e di sistemica esecuzione nel quale serve far funzionare veri e propri cantieri con qualche complicazione in più rispetto a quelli di terra. Talvolta il rinvenimento avviene attraverso prospezioni visive effettuate sia da persone sia da telecamere o veicoli filoguidati. In altri casi è necessario utilizzare sonar e magnetometri i cui risultati, pur se oggi maggiormente fruibili che in passato grazie alla digitalizzazione, per casi non manifesti sono complessi da interpretare e necessitano di competenze professionali specifiche. Una volta individuato, il giacimento viene liberato dai sedimenti o dalle concrezioni che lo hanno ricoperto per essere rilevato in tutti i suoi aspetti dimensionali, costruttivi, ambientali e archeologici. 

Concluse queste operazioni, il sito dovrebbe sempre essere oggetto di ricopertura e/o di prelievo di parte o dell’intero contenuto o della struttura per restauro o studi successivi. Finito il lavoro sul campo si è solo ad un terzo dell’opera passando all’analisi dei dati, degli schizzi, di foto e filmati, alla realizzazione dei disegni, all’analisi da parte degli specialisti di specifici reperti o situazioni, alla formulazione delle conclusioni, all’archiviazione e gestione dei dati del giacimento e, come si spera, alla pubblicazione dei risultati. Per limitarci allo scavo, in questa sede è sufficiente evidenziare che può essere condotto secondo diverse tecniche e metodologie che sempre devono rendere chiara la stratigrafia così come avviene per le operazioni condotte a terra. E’ quindi molto importante poter contare su una base logistica affidabile e quando questa deve essere replicata anche in mare, il costo diventa rilevante e non sempre la scelta è facile (barche, pescherecci, pontoni, rimorchiatori, zattere, ecc.). Per asportare i detriti viene utilizzata la “sorbona”: un grosso aspiratore manovrato dal subacqueo e attivato da aria o acqua a pressione, le cui progettazione, realizzazione e utilizzo richiedono un approccio personalizzato ad ogni situazione. Una volta ripulita, o molto più spesso nel corso della ripulitura, l’area va rilevata, misurata, topografata in tutte le sue componenti, con l’ausilio di supporti tecnici fissi o mobili di diverso tipo e tecnologia. 

Generalmente la zona di lavoro viene divisa in figure geometriche equivalenti o uguali attraverso un reticolo graduato di diverse scale che funge da riferimento per tutte le misurazioni manuali e strumentali. Le misurazioni vengono integrate da fotografie e si realizza almeno un fotomosaico prima della restituzione, manuale o strumentale, del rilevamento di base. Un tempo era necessario costruire delle infrastrutture di precisione sulle quali far scorrere le macchine fotografiche e le telecamere mentre oggi, grazie alla velocissima affermazione delle apparecchiature e dei software digitali, basta posizionare alcuni capisaldi gestendo l’acquisizione e l’elaborazione dei dati con risultati analoghi a quelli che si ottengono in superficie. Va poi analizzato il materiale rinvenuto, dedicando a questo degli specialisti sia per lo studio che per la conservazione temporanea in attesa del restauro. Particolare attenzione e organizzazione preventiva ad hoc meritano i legni e i manufatti organici per la loro altissima deteriorabilità. Ceramiche, piombo, oro, marmi ed altri materiali più resistenti possono essere gestiti e studiati, invece, con maggiore serenità ma simile prudenza. Un mondo estremamente vario ed affascinante nel quale, con i prossimi articoli, cercheremo di “immergerci”.



Percorso di specializzazione in cavità artificiali per istruttori di tecnica SSI (Società Speleologica Italiana)


La Scuola Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali della Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana (SSI) organizza un percorso di specializzazione per Istruttori di Tecnica (IT) SSI aspiranti alla specializzazione in CA. Il percorso si articola in 18 lezioni di approfondimento tematico on-line, 2 lezioni e la prova pratica in presenza. La data della sessione in presenza è soggetta a riconferma a seconda dalla situazione pandemica contingente, in tale occasione sarà definito il costo di copertura della logistica. Le serate sono aperte anche ai soci SSI, interessati agli argomenti proposti, in regola con la quota associativa 2021 (fino a concorrenza dei posti disponibili, registrazione obbligatoria). Numero massimo degli IT ammessi al percorso completo di specializzazione in CA: 5 (+5). La prova pratica in CA si svolgerà in due sessioni distinte per un massimo di 5 aspiranti per volta.

Nel caso pervenissero ulteriori richieste oltre al numero massimo di 5, saranno ammessi fino a 5 altri aspiranti: tutti parteciperanno allo stesso percorso formativo. Attendendo però lo svolgimento di una seconda prova pratica che sarà organizzata in data successiva. Il numero è limitato dalla disponibilità delle specifiche attrezzature indispensabili per la progressione ACAR e dal rispetto delle regole dettate dalla situazione pandemica contingente. 

Gli aspiranti ITCA iscritti al percorso di specializzazione parteciperanno attivamente alle lezioni di approfondimento tematico, con possibilità di interagire con i relatori. Le lezioni obbligatorie potranno comportare la soluzione di un test per i soli aspiranti ITCA. Ai fini della qualificazione, gli aspiranti ITCA sono tenuti a seguire almeno 16 serate (80%), che includono le 8 indicate come obbligatorie (*), la sessione in presenza e almeno altre 8 serate tra quelle di approfondimento tematico. Le serate avranno inizio alle ore 21,00 e avranno una durata di 90 minuti.

mercoledì 12 maggio 2021

Disponibile il nuovo libro di Enrico Felici: ANTIUM Archeologia subacquea e Vitruvio nel porto di Nerone (EDIPUGLIA)

Il volume è incentrato sul porto fatto costruire da Nerone ad Antium ‘con un’enorme spesa’, come scrive Svetonio. Sui suoi resti, emersi e sommersi, l’Autore ha svolto a più riprese rilievi, prospezioni e scavi subacquei, che hanno fornito molti dati topografici e tecnico edilizi; tra cui singolari e rare sigle punzonate sui legni delle casseforme di fabbrica. La ricerca si è avvalsa non solo di fonti archeologiche, ma anche anche letterarie, cartografiche, fotografiche e aerofotografiche, fino ai documenti d’archivio e alle cartoline illustrate d’epoca, sulla base delle quali si sono ricostruiti episodi della storia moderna del complesso portuale e della sua conservazione. 

Il porto di Antium si inscrive appieno nella politica di infrastrutture portuali imperiali: per la paternità neroniana, ma anche per i suoi resti archeologici, che testimoniano in modo chiaro gli avanzamenti raggiunti nel I secolo d.C. dalla tecnica di costruzione in ambiente marittimo, basati sul cementizio pozzolanico, secondo le indicazioni di Vitruvio nel De architectura. Rassegne critiche di procedimenti di costruzione in varie strutture portuali e di fonti iconografiche di soggetto marittimo contribuiscono a formare il quadro generale di queste tecnologie, in cui si riscontrano non solo i metodi vitruviani, ma anche ulteriori sistemi menzionati da altre fonti: un bagaglio operativo di ingegneria marittima che costituì la base per un programma portuale imperiale mirato alla sicurezza delle rotte. Conclude pertanto il volume una panoramica delle strategie annonarie di Nerone: un tema storico nel cui ambito il porto di Antium non va, come in passato, interpretato quale mera appendice della villa imperiale, ma piuttosto come un presidio della vitale rotta tirrenica su cui viaggiava il grano diretto a Roma. 



Enrico Felici è laureato in Rilievo e Analisi Tecnica dei Monumenti Antichi all’Università di Roma La Sapienza; è cofondatore dell’Associazione Italiana Archeologi Subacquei e del periodico L’archeologo subacqueo; ha insegnato nel primo corso di laurea in Italia in Archeologia subacquea (Università della Tuscia); insegna (Università di Catania) Rilievo e analisi tecnica dei monumenti antichi e Topografia del territorio antico: emerso, litoraneo e subacqueo. Ha pubblicato vari articoli, principalmente sulla documentazione archeologica in ambito costiero e sommerso e sulla topografia antica litoranea. È autore di Archeologia subacquea. Metodi, tecniche e strumenti (IPZS, Roma 2002), di Nos flumina arcemus, derigimus, avertimus. Canali, lagune, spiagge e porti nel Mediterraneo antico (Edipuglia, Bari 2016) e di Thynnos. Archeologia della tonnara mediterranea (Edipuglia, Bari 2018).

venerdì 7 maggio 2021

Mondi sommersi e sotterranei (8): Volare nella storia

VOLARE NELLA STORIA (Mario Mazzoli, A.S.S.O.)


L’archeologo, il geografo, il geologo e altri specialisti spendono molto del loro impegno per procurarsi o realizzare immagini. Foto in proprio, foto aeree, dettagli, ortofoto tramite palloni frenati e filmati presentano caratteristiche proprie dovute al mezzo di ripresa e alla situazione nella quale sono state realizzate e raramente si prestano a più usi. Ecco perché, da quando abbiamo cominciato a proporre l’utilizzo di droni volanti, ben più di dieci anni fa, le esperienze di sono moltiplicate a velocità impressionante. 

L’uso di questi APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto) implica un rischio contenuto e consente molteplici opportunità di impiego professionale. Si parla di impiego professionale perché molti hanno la percezione che sia sufficiente acquistare un bel drone e fare un corso di pilotaggio per diventare un cineasta di grido o un topografo moderno. Un risultato concreto, e fruibile anche dalla comunità tecnica e scientifica, è invece condizionato da un complesso mix di hardware, software e capacità del pilota che va continuamente aggiornamento e bilanciato, spesso in loco, che non si può improvvisare. 

Questi mezzi sono utili per rilievi e monitoraggio del territorio, creazione di modelli tridimensionali, verifiche di edifici e di agglomerati storici, accesso in zone impervie e rilievi con termo camere. Consentono riprese alta risoluzione anche per ispezioni interne agli edifici, visione generale di grandi spazi, spot pubblicitari, documentari ed eventi. Possono volare a vista, oppure essere controllati tramite un visore e/o uno schermo che riportano quanto in quel momento il drone stia “vedendo”. 

Nel caso di distanze elevate o di volo autonomo, appositi software consentono di impostare la rotta o l’area di interesse che il mezzo segue in totale autonomia per tornare al punto di decollo anche nel caso di perdita del segnale. Travagliata, come al solito, è stata la genesi della legislazione in materia che è passata dall’anarchia totale a complicate e costose autorizzazioni. La situazione sembra ora essersi sufficientemente chiarita ma si consiglia di prendere atto delle specifiche normative che riguardano la tipologia di mezzo, la zona di sorvolo, i titoli del pilota, assicurazioni, ecc. oltre all’ovvio rispetto della regola del chi rompe paga. Dicevamo che è con un batter d’ali, o meglio di eliche, che tramite questi apparecchi si ottengono risultati di altissimo livello qualitativo con tempi e costi incomparabili rispetto ad altre opzioni. 

Non ci stancheremo però di ricordare che la piccola astronave è solo uno degli elementi cardine di un processo operativo in cui competenze di carattere tecnico, tecnologico, esperienziale e di software si fondono per l’ottenimento di risultati utilizzabili a diversi livelli e proprio per questo la nostra fortuna è stata quella di incontrare Francesco Marsala, un vero precursore della materia. Certo è, comunque, che quando si vede all’opera una squadra che mette a profitto questi mezzi resta ben poco da capire sul loro potenziale. Tra l’altro ASSO è una delle pochissime organizzazioni che vanta grande esperienza nell’impego di APR anche in aree sotterranee dove le limitazioni tecniche e logistiche presentano, ogni volta, sfide diverse. A prescindere da aspetti tecnici, potrebbe essere di interesse riportare quanto un famoso archeologo ci abbia riferito di aver provato in un viaggio condotto su una famosa area archeologica, alcuni anni fa. Dopo aver avvertito un fruscio proveniente da terra scorgo una sorta di libellula meccanica che si leva in volo dinanzi a noi. Si sostiene nel vuoto grazie a sei pale rotanti su altrettanti motori elettrici inseriti su bracci posti a esagono. Spie, led, motori di ceramica, sistema di stabilizzazione inerziale e un obiettivo che punta verso di noi: una macchina fotografica o una telecamera? Da qui non riesco a capire. Inforco una specie di occhiali da pilota di cacciabombardiere che Francesco Marsala, progettista, costruttore e pilota professionista, mi porge. Mi appare una visione sincronizzata su due microscopici monitor. Un attimo di sbandamento, l’istinto mi porta a girare la testa verso il drone ma non so dove sia; vedo invece ciò che lui sta vedendo. 

Riprendo una posizione stabile e dalle cuffie sento Francesco che mi dice: “come vedi siamo in volo, cosa vuoi riprendere?” Mentre altri due tecnici controllano le operazioni attraverso una stazione di terra penso a cosa proporre, ma in questa prima prova, decide per me Francesco. “Come puoi vedere dai dati di altitudine, sul lato delle immagini, siamo a una quota intorno ai 2 metri. Ora facciamo una rotazione di 360 gradi.” Guardando capisco che il drone sta ruotando su sé stesso; poi si ferma quasi a scrutarci e mi vedo ripreso in video. Gli strumenti danno le coordinate, la direzione bussola, la quota, il livellamento, l’intensità del segnale GPS e diverse altre informazioni ma la mia attenzione si concentra sul video pronto per essere catturato sia dalla memoria del velivolo che dalla workstation di terra. Inizia la navigazione: lo spettacolo lascia senza fiato. E’ difficile capire che ciò che stiamo vedendo è proprio lo stesso posto dove abbiamo lavorato per anni. Si passa da alte quote a riprese ravvicinate; da immagini immobili con il drone fermo in aria a passaggi attraverso archi e porte e corridoi. Voliamo verso una importante via consolare. Dopo una rotazione su un piano orizzontale il mezzo si ferma e nelle immagini appare il grande monumento. Alto circa quaranta metri, trenta di diametro già riprendendolo da pochi metri si presenta come se non lo avessimo mai visto e siamo solo a mezza altezza. Francesco comunica “ora saliamo di quota, voleremo sui 30 metri e potremo riprenderlo nella sua completezza.” 

Si sale, la videocamera lambisce le pareti in travertino del mausoleo che si sfilano, si riducono, più saliamo più si scopre. Filmiamo la merlatura e andiamo ancora più in alto per assicurarci uno spettacolo unico. Non credo a quello che vedo; vorrei puntare io la telecamera o la macchina fotografica e manovrare gli zoom ma non posso perché è solo il pilota che può trasmettere i segnali per le foto o il video mentre, con un mezzo di livello superiore, sarebbe possibile gestire tramite persone diverse le funzioni di pilotaggio e di ripresa. Mi tolgo gli occhiali e sono attratto dalla consolle, dai molteplici controlli di volo, dall’autonomia del velivolo e dalla capacità del pilota ma quello che continua a sorprendermi è la stabilità delle immagini in volo. Chiedo e mi rispondono che la foto-videocamera è stabilizzata sul piano orizzontale con motori elettrici e con un giroscopio di elevata precisione; che l'inclinazione verso il basso, che varia in relazione alle ottiche prescelte, è assicurata da altri motori inerziali; che il corpo macchina è posizionato su una vera e propria micro steadycam e che le fotocamere e le video utilizzabili vanno dalle piccolissime micro color alle video camere super professionali. Tutto molto, molto interessante ma …. a me interessano le applicazioni. Andare a frugare e a documentare quell’angolo del monumento al quale non sono mai riuscito ad arrivare. Verificare a costi contenuti quelle alte lesioni. Realizzare un modello 3d ad alta precisione, avere finalmente un filmato promozionale per questa splendida area archeologica che è fuori dai circuiti turistici tradizionali. Non mi serve altro né altri particolari tecnici, in pochi minuti ho già capito e le decine di applicazioni e aree di intervento si accavallano nella mia testa.



Il documentario "Progetto Albanus: dentro l'antico emissario" vince il prestigioso premio NEW YORK MOVIE AWARDS come migliore documentario

Nel mese di aprile 2021 è stato riconosciuto il premio come "Best feature Documentary" del festival New York Movie Awards al documentario "Progetto Albanus: dentro l'antico emissario" di Massimo D'Alessandro prodotto dalla ASSO in collaborazione con la Federazione HYPOGEA. 


domenica 2 maggio 2021

2 maggio 2021:Approvato il progetto di copertura dell'arena del Colosseo. Tecnologia sofisticata e "green". L'obiettivo di una "piazza" per la cultura

"Un pavimento in legno dall'anima super tecnologica e green, con un sistema di pannelli dall'anima in fibra di carbonio che, muovendosi e ruotando come una sorta di super sofisticato brie soleil, garantiranno sia la vista dei sotterranei sia la loro ventilazione. Ecco come sarà nel 2023 la nuova arena del Colosseo, la sfida più ambiziosa e contestata del ministro della cultura Franceschini." (fonte: ANSA.IT - qui il link articolo completo)

Il percorso di questo progetto approvato oggi, 2 maggio 2021, inizia da molto lontano (2014) e numerose discussioni si sono avvicendate nel corso di tutti questi anni con alterne e diverse opinioni. 

Ora dal progetto vincitore di Milan Ingegneria ci vorranno alcuni mesi per l'elaborazione del progetto esecutivo o probabilmente alla fine del 2021 verrà emesso il bando di gara per la società che dovrà realizzarlo. Obiettivo finale 2023.

Proponiamo di seguito un video che descrive il percorso e la timeline con cui si è arrivati all'approvazione del progetto con le spettacolari immagini aeree dal drone girate da una squadra della nostra associazione ASSO il 25 aprile 2020, in pieno lockdown della pandemia di Covid19, nell'ambito della collaborazione che ha la nostra ASSO ormai da parecchi anni con il Parco Archeologico del Colosseo.


Per approfondire la genesi di questo progetto ed il suo tortuoso percorso riportiamo qui di seguito un interessante ed esauriente articolo del Prof. Giuliano Volpe (Archeologo e Presidente emerito del Consiglio Superiore Beni Culturali e Paesaggistici del MIBAC) pubblicato recentemente sull'Huffington Post: CLICCARE QUI PER LEGGERE L'ARTICOLO